Prendersi cura, ricercare, sperimentare, …
Tante, diverse, o una sola domanda/e
o risposta/e?

Gianni Tognoni
Direttore Fondazione Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro (Chieti)
Per corrispondenza: Gianni Tognoni, tognoni@negrisud.it


Un titolo-sottotitolo tanto articolati per una riflessione editoriale richiedono almeno un paio di giustificazioni preliminari.

1. Questo numero di AIR è affollato di rimandi alle parole del titolo, da diversi punti di vista: la pubblicazione (è una "primizia" assoluta!) della traduzione italiana dell'ultima Dichiarazione di Helsinki (pag. 36), un contributo sulla presenza della sperimentazione nella letteratura infermieristica (pag. 42), un commento ad un documento di per sé tecnico-sanitario, metodologico-etico, sulla sperimentazione che per l’autorevolezza dei suoi autori è approdato nella cronaca nazionale (pag. 48).

2. Lungo gli ultimi (tanti ormai) mesi, i mass-media sono stati letteralmente invasi da episodi che si sono trasformati in veri e propri eventi, se non addirittura nomi-simboli (Stamina, Avastin, Lucentis...) che trasformano tutti i termini del titolo nelle/a domande/a del sottotitolo: come prendersi cura di problemi-pazienti per i quali o non ci sono risposte (v. Stamina) o ci sono a prezzi assolutamente sproporzionati ed ingiustificati (v. Caso Avastin Lucentis), senza avere chiari i principi e le pratiche della ricerca e della sperimentazione così da avere la capacità a prendere decisioni tra ciò che è affidabile e ragionevolmente certo, e ciò/che è rigorosamente inutile, quando non fuorviante, e/o dannoso, ai singoli e/o alla collettività? Ricordando per di più, che si sta vivendo nel panorama, purtroppo ben noto e ripetitivo, di una sanità-società (non solo italiane) dominate, in modo ossessivo, da una prassi che mira a far dimenticare una cultura, oltre che una politica, di Welfare per dare attenzione esclusiva a gestioni mansionarie che hanno come obiettivo centrale-esclusivo il contenimento dei costi entro tetti economici definiti con criteri molto sospettabili di affidabilità.


domande/risposte

È in questo contesto che entrano in gioco, le domande-in-attesa di risposte che si devono immaginare rivolte al mondo infermieristico, per le quali si propone una esplicitazione nei 10 punti che seguono.

1. Perché una lettura della dichiarazione di Helsinki. La lettura della Dichiarazione di Helsinki è la prima tappa obbligata per due ragioni (che sono complementari, anche se potrebbero apparire dissociate):
1.1. La Dichiarazione, citata (anche se molto poco letta) come codice medico per la sperimentazione clinica, è di fatto il pro-memoria di una cultura e di un'etica molto più di fondo che si possono così sintetizzare: prendersi cura dei problemi di malattie-salute di individui e popolazioni significa porsi in un atteggiamento permanente di ricerca-sperimentazione: ogni avanzamento di conoscenza ed ogni cambiamento di contesti, culturali e/o assistenziali, impongono infatti un confronto ed una verifica sperimentali – cioè espliciti, realizzati in modo rigoroso – tra diverse strategie-soluzioni. Queste sono infatti, a loro volta, l'occasione e lo strumento per una sempre più chiara condivisione-partecipazione nei processi decisionali e valutativi da parte di cittadini-pazienti che sono portatori di bisogni in cerca di risposte appropriate. È questo il senso dei protocolli di ricerca da condividere con soggetti-pazienti informati e a cui assicurare la trasferibilità tempestiva di risultati: siano questi propositivi di novità, o che documentano la non-validità di interventi da cui si speravano-attendevano risposte promettenti.
1.2 Intesa in questo senso, la logica e le finalità della Dichiarazione devono appartenere a pieno titolo alla cultura, alla pratica, al ruolo delle competenze infermieristiche, anche se queste sono rigorosamente assenti dalla Dichiarazione, che riflette da questo punto di vista, ancora oggi, una visione della sanità profondamente medico-centrica.

2. Infermieri e studi sperimentali. La revisione della letteratura proposta in questo numero (pag. 42), pur nella sua dichiarata parzialità di tempi, riviste consultate, approfondimenti appena accennati (per essere provocazione, più che revisione sistematica) documenta molto chiaramente che la capacità-vocazione di ricerca-sperimentazione può-deve essere una componente permanente e trainante degli interessi infermieristici. La percentuale – il 6% – dei rapporti di sperimentazione rispetto alla produzione complessiva di ricerca è comparabile a quella che si ritrova nella letteratura medica, e deve/può essere potenziata, soprattutto in termini di rigore metodologico e di argomenti su cui concentrare l'attenzione. Questa provocazione dovrebbe trovare un'eco concreta anche nella politica di AIR, che pure ha consacrato a questi temi contributi specifici di assoluta rilevanza (v. bibliografia nel contributo sopra citato).

3. La vera rilevanza delle domande. Il problema della ricerca-sperimentazione non è quello falsamente indicato nella nota del C.E. della Fondazione Veronesi (pag. 48) – l'opportunità o meno di randomizzare i/le pazienti – ma quella di mirare alla rilevanza delle domande che si affrontano. Ad ogni problema deve corrispondere una sua metodologia rigorosa, per evitare di incorrere nel vero e proprio delirio (di cui sono stati protagonisti purtroppo anche posizioni ministeriali e regionali, giornalisti a caccia di lettori emotivamente coinvolti, comitati etici di grandi ospedali, giudici dis-informati) rappresentato dalle vicende di Stamina: "prendersi cura" dei bisogni inevasi significa considerarli ancor di più oggetto obbligato non di una compassione travestita di empirismo (e fatta pagare ad altissimo prezzo!), ma di ricerche-sperimentazioni normalmente rigorose.

4. Assenza o non potere del mondo infermieristico. Il mondo infermieristico è sostanzialmente muto-assente in questi dibattiti, scientifici e/o mediatici e/o quotidiani. Anche se rappresentanti infermieristici sono previsti e presenti nei Comitati Etici, la loro visibilità ed il loro contributo sembrano essere invisibili-irrilevanti. È possibile pensare ad iniziative non occasionali e frammentate, che trasformino le tante presenze formali delle competenze infermieristiche in una rete organica – un vero e proprio strumento di intervento e non solo di osservazione – che si faccia propositiva di progetti di ricerca infermieristica sulle tante domande rilevanti che si incontrano nella pratica quotidiana ancor di più che nei C.E.?

5. In vista di una lettura infermieristica della Dichiarazione di Helsinki. Una lettura intelligente della Dichiarazione di Helsinki da parte infermieristica dovrebbe tradursi nella formulazione di una vera e propria agenda di progetti di ricerca-sperimentazione che si sviluppano non come momenti separati ed occasionali della pratica quotidiana, ma come espressione etica della volontà-capacità di adottare le tante domande aperte ed incerte di cui è piena l'assistenza in termini di ricerca-sperimentazione (AIR ritorna spesso su questo tema: ma forse non a sufficienza!).

6. La partecipazione non è confinata al consenso. Solo con una partecipazione attiva ed originale delle reti infermieristiche nella produzione di conoscenze si può sviluppare – molto più che con lodevoli iniziative di formazione teorica – nelle scuole e nel quotidiano dell'assistenza una cultura in grado almeno di prendere la parola quando si incontrano problemi come quelli di Stamina, o della Fondazione Veronesi, o dello scandalo Avastin-Lucentis – quest'ultimo non certo "sanato" con una multa sostanzialmente irrisoria, pur nella sua apparente grandezza, comminata per ragioni economico-amministrative – che ha esposto migliaia di pazienti a rischio di cecità per la non-accessibilità a cure rese economicamente non-sostenibili per ragioni di mercato. È chiaro che non sono gli infermieri ad essere protagonisti o responsabili di queste violazioni di diritti fondamentali (derivanti dalla più generale cultura di mercato, ricordata nella premessa che fa delle variabili economiche il fattore determinante anche delle scelte di welfare). È altrettanto chiaro tuttavia che il mondo infermieristico è parte integrante di tutti i processi di cura: e che il caso Avastin-Lucentis è una delle situazioni nelle quali i conflitti di interessi diventano visibili, non come problema bioetico su cui discutere, ma come un indicatore delle concrete deviazioni di priorità, che si esprimono in tanti settori, dalla oncologia alla psichiatria alla cura degli anziani e dei tanti fragili che assorbono risorse economiche sproporzionate rispetto a risultati che sarebbero meglio raggiungibili con investimenti sul personale.

7. Un’agenda di lavoro. Accanto ad un’agenda di progetti di ricerca-sperimentazioni come quella evocata sopra al punto 5, si può pensare ad una agenda di iniziative che mirano – nel mondo infermieristico, e verso l'esterno, ai confini della sanità-società – a fornire una informazione critica, che renda più obbligata (cioè “normale") una strategia del prendersi cura di cui siano protagonisti responsabili ed informati infermiere/i competenti nei diversi settori.

8. Una conferma nella letteratura che conta. Due editoriali recenti sul New England Journal of Medicine1,2 possono essere una buona introduzione a questi compiti di ricerca-sperimentazione che si devono estendere, con grande flessibilità, al di là degli interventi, all'informazione-partecipazione dei pazienti. Il vecchio rigido ambito del consenso informato, confinato spesso nella preoccupazione di riempimento di moduli viene trasformato (proprio in un giornale tanto autorevole!) in una riflessione su quanto e come ogni situazione di incertezza (e perciò di ricerca-sperimentazione) si può-deve tradurre in un approfondimento permanente, e sempre innovativo, sul come prendersi cura non solo dei pazienti e del loro contesto, ma dei veri e propri cambiamenti di cultura, perciò di pratiche di assistenza complessiva.

9. La metodologia della ricerca deve adattarsi al problema e non viceversa. La ricerca-sperimentazione mirata ai bisogni non si preoccupa (lo si è discusso nel recente dossier di AIR)3 di distinzioni più o meno sottili o ideologiche tra strumenti ed approcci qualitativi o quantitativi. I bisogni rilevanti e la ricerca-sperimentazione di loro soluzioni, sono il criterio di riferimento per la scelta e/o l'articolazione tra ciò che è quantitativamente misurabile e/o condensabile in punteggi e valori oggettivi, e ciò che può/deve essere oggetto di narrazioni di interventi e di esiti. La ricerca-sperimentazione è in questo senso ed allo stesso tempo scuola permanente che permette all'insieme dell'assistenza di rimanere-divenire-ricordare di essere uno degli indicatori forti (nonostante tutte le pressioni al contrario, nella legislazione e nell'organizzazione) della capacità-volontà della medicina di essere o meno custode-promotore di un prendersi cura, allo stesso tempo individuale e collettivo, centrato sul paziente singolo e sulla epidemiologia delle popolazioni.

10. Alleanze difficili e necessarie. Si è partiti dalla dissociazione – anche nella Dichiarazione di Helsinki – tra un ruolo dominante della componente medica della assistenza-sperimentazione-ricerca, ed un'assenza-mutismo della componente infermieristica. Si presenta un compito crescente di formare reti di alleanze tra competenze-saperi medici ed infermieristici. Prospettiva certo non nuova nella sua enunciazione. È prioritario che queste alleanze acquisiscano una nuova visibilità-progettualità, soprattutto nei settori più critici, che sono quelli delle tante cronicità-complessità le cui storie devono essere studiate-sperimentate-raccontate a più voci: ognuna di queste sarà tanto più generatrice di nuove conoscenze e nuove pratiche quanto più progetti operativi avranno infermiere/i come partecipanti coordinati ma autonomi, e non solo come esecutori funzionali di ciò che è proposto-realizzato in una logica gerarchica di mansioni. Non è facile: anche perché la tendenza alla diminuzione di risorse pubbliche/private per la ricerca-sperimentazione non privilegia certo il finanziamento di progetti a forte componente infermieristica. Diventa ancor più evidente la validità della proposta (v. sopra) di reti collaborative radicate normalmente nella pratica. A chi il coraggio di fare di questa prospettiva – non sperando certo e sempre risultati in tempi-brevi – una realtà capace di prendere la parola, nell'insegnamento, nelle pubblicazioni, nella pianificazione?


BIBLIOGRAFIA

1. Faden RR, Beauchamp TL, Kass NE. Informed consent, comparative effectiveness, and learning health care. NEJM  2014;370:766-8.
2. Kim SYH, Miller FG. Informed consent for pragmatic trials – The integrated consent model. NEJM 2014;370:769-72.
3. Dossier: la ricerca qualitativa. Assist Inferm Ric 2013;32:172-204.