contributi metodologici


Per una metodologia dello sguardo

Summary. Glance as methodology: the art of seeing. Against a background of the ongoing debate in the most qualified literature on the increasingly critical foundations of a too rigidly interpreted EBM/N, this contributions adopts two glances on life/health, highly different and at the same time strictly complementary, which have come to the attention of AIR. The first glance coincides with the personal, methodological, artistic profile of a Swiss scientist, who left us very recently; the second is proposed by two young adolescent women students, who interpret a painting which is the iconic symbol of the feminine beauty and mystery against the background of the present scenarios of women resistance/resilience against violence and discrimination.


quadro di riferimento

Il titolo ed i contenuti di questa sezione potrebbero sembrare insoliti e strani, soprattutto per una disciplina come la metodologia, che è percepita nell’immaginario, e praticata nell’insegnamento e nelle valutazioni, come un insieme di regole ed una strategia complessiva, molto rigorose, fino ad essere, non raramente, rigide, nel dire e controllare come si deve agire per produrre conoscenza ed appropriatezza.
Questa insolita stranezza ha però radici antiche e nobili, dal punto di vista dell’autorevolezza nella letteratura scientifica, tanto più interessante in quanto era uno dei pochi in cui protagoniste erano infermieri. In uno storico studio clinico controllato pubblicato sul NEJM: lo sguardo delle infermiere di un reparto di patologia intensiva neonatale era nettamente più efficace di strategie programmate di monitoraggio di marcatori biologici e strumentali nello ‘scoprire’ evoluzioni critiche delle condizioni cliniche dei pazienti.1 Non si sa che uso sia stato fatto di quei risultati: è quasi certo che non sono entrati in raccomandazioni basate sulle evidenze, che sono (certo un po’ troppo burocraticamente) preoccupate di punteggi di rilevanza ed obbligatorietà, prescindendo da contenuti e contesti.2
Gli scenari che qui vengono proposti possono essere senz’altro considerati atipici per un manuale od un corso formale di metodologia: come nel trial sopra citato, la metodologia non è una tecnica, più o meno definita, ma coincide con quanto è compreso e prodotto dallo sguardo di persone: e dovrebbe essere ovvio che lo sguardo non è una tecnica, ma l’espressione più completa/immediata di una persona nel suo rapportarsi alle realtà, semplicissime o complesse, con le quali interagisce.


quando le persone sono (anche, e a fondo) sguardo-metodologia

Gli scenari proposti sono due. Profondamente diversi, da tutti i punti di vista. Come gli estremi di una curva di distribuzione. Coincidono, in questo modo, nell’esprimere-documentare la robustezza e l’estensione (gli intervalli di confidenza) del loro messaggio comune che dice: è lo sguardo che si porta dentro, che si è, quello che produce una intelligenza della realtà che ne scopre e traduce anche la esigenza-possibilità-modalità di trasformazione.
Nei due scenari, le immagini sono imprescindibili e protagoniste come le parole: in dialogo. È un principio spesso dimenticato, o guardato come confondente nelle metodologie (di ricerca, e di pratiche raccomandate) dichiarate rigorose: che hanno come loro punto di riferimento e misura di affidabilità/appropriatezza l'uso corretto di procedure/strumenti (quanti/qualitativi, non importa), più che il significato (al di là delle eventuali significatività) di ciò che si produce e si vede/percepisce/si è certi nella realtà. Si assume infatti che immaginari e progetti sono meno importanti, o garanti di affidabilità, dei protocolli nei quali si devono tradurre per essere riconosciuti/approvati/finanziati. I due scenari dicono che queste inversioni di gerarchie sono senza senso: ancor di più, renderebbero muti, incapaci di comprendere e di essere; è ciò che forse è peggio, superflui …
Coerentemente con l’antichità delle radici da cui si è partiti, si propone per primo lo scenario che ha come protagonista un amico che ci ha lasciato da poco, non troppo vecchio di anni, ma sempre talmente presente sulle tante scene della sanità pubblica, anche in Italia, da poterlo sentire come componente da sempre di una cultura-pratica-ricerca capace di guardare al di là delle apparenze e dei risultati parziali.
Lo si presenta con una immagine che ne suggerisce quello che rischierebbe di non essere detto nel CV (…anche se fosse lungo come dovrebbe essere), e poi con un profilo che si spera tanto faccia venir voglia di conoscerlo di più, anche magari andando a vedere il sito https://www.eoc.ch/dam/Event/LocandinaODL-RicordandoDome.pdf
Il secondo scenario deve essere anzitutto visto come un regalo, raro per AIR, molto importante per il futuro: per la bellezza-intelligenza di quanto propone (ognuna/o giudicherà), e per le autrici che hanno la giovinezza come CV: la loro metodologia è semplicemente il desiderio, e perciò la capacità di far coincidere le loro diversità di storie-linguaggio-sguardo nell' interpretare e tradurre un dipinto-volto-sguardo che è da secoli un paradigma intoccabile della rappresentazione insieme ideale e misteriosa della donna nella civiltà europea, in un immaginario che permetta ai tanti futuri indefiniti, in progress, interroganti, di specchiarsi.
Le parole – non una in più: che si svolgono con la semplicità lucida di chi vuole che non ci si distragga dal filo che conduce, nel fondo, il progetto – dicono, più di qualsiasi manuale, che cosa deve essere la narrazione, di cui tanto si discute: essere così abitate da ciò che si vuol dire da renderne visibile, a parole, perché lo possa poi essere nella dialettica imprevedibile di una vita che prenderà infiniti volti e sguardi, la sostanza: che è una domanda infinitamente aperta, diffidente fino in fondo, anche se fino in fondo nostalgica, di risposte che non abbiano il sapore del già detto, o della manipolazione …
È bello, perché molto raro, e leggero, concludere una riflessione metodologica, con il senso di dover solo ringraziare per essere stati coinvolti in un gioco di sguardi, che ci si augura possa accompagnarci.
(Gianni Tognoni)


BIBLIOGRAFIA

1. Als H, Lawhon G, Duffy FH, McAnulty GB, Gibes-Grossman R, Blickman JG. Individualized developmental care for the very low-birth-weight preterm infant. Medical and neurofunctional effects. JAMA 1994;272:853-8.
2. Shekelle PG. Clinical practice guidelines: what's next? JAMA 2018;320(8):757-8.




Per una metodologia dello sguardo 1:
in ricordo di Gianfranco Domenighetti
Glance as methodology: the art of seeing 1:
Remembering Gianfranco Domenighetti


Gianfranco Domenighetti, Economista e dottore in scienze sociali, è stato fino al 2012 professore titolare di Comunicazione e Economia sanitaria all’USI e fino al 2011 professore invitato di Economia e politica sanitaria presso l’Institut d’Économie et de Management de la Santé dell’Università di Losanna. È stato per 37 anni direttore della Sezione Sanitaria del Dipartimento della Sanità e della Socialità del Cantone Ticino e direttore dell’Università estiva in amministrazione e gestione dei servizi sanitari (in collaborazione con l’Università di Montréal). Per una persona che, come Gianfranco, aveva a cuore il principio del less is more, un numero ancora più esiguo di righe avrebbe potuto bastare.

Il ricordo che segue è stato tratto da L’art de voir, di Charles Kleiber. In Ricordando DOME, la sua opera, le sue tracce, le sue intuizioni, edito e realizzato dai familiari e amici di DOME. Giugno 2018.

…Siamo stati dirigenti nella sanità pubblica, abbiamo lavorato, insieme, lanciato progetti, abbiamo pensato e riso con la stessa intensità, con incontri che erano feste: funzionari? certo, quando serviva. Amici? Per sempre. Né militanti, né lottatori: cittadini.

La vita ci ha poi separato. Io sono andato altrove, lui è andato più lontano ancora, nel solo luogo dove il suo sguardo poteva essere più libero, più profondo, più rigoroso, più universale, come poteva essere allora l’università. Restando sempre fotografo, e pittore …





Perché Dome era soprattutto uno sguardo. Sulle cose, sulla vita, su sé stesso. Quello sguardo che permette di riconoscere le realtà al di là delle apparenze, di distinguere nella massa dei dati quelli che più di tutti gli altri, anche solo per un lampo, coincidono con la verità.
Sguardo fatto di dubbio, e di lungimiranza. Perché solo il dubbio può produrre quella insoddisfazione radicale che fa desiderare ed impone di andare sempre oltre, in ricerca di più verità. E la lungimiranza lucida è quella che fa del dubbio un servizio. Era lo sguardo necessario, senza concessioni, per dare un senso alle infinite e diversissime decisioni di cui sono fatti i rapporti tra curanti, pazienti, amministratori della sanità. Sguardo politico, per mettere a nudo, dietro i consensi e le verità pre-confezionate, i rapporti di forza e gli interessi di coloro che fanno della malattia un commercio, di cui vivere.
Sguardo di umanista per fare emergere le contraddizioni di cui siamo fatti, per ricavarne, con forza, i cambiamenti necessari.
Sguardo di saggio per sapere che com-prendere significa ‘afferrare-con’, e convincere, ‘vincere-con’. Era necessario questo suo sguardo, per cambiare i nostri sguardi.

Dome era questo sguardo. Con in più un senso tranquillo di ironia e di humour, e la bontà …

Senza dimenticare lo sguardo più intimo del fotografo, e quello più segreto del pittore. Dove non si tratta più di verità o bugie, di poteri ed evidenze formali, statisticamente e sperimentalmente significative. Ciò che conta è la forza della testimonianza artistica e l'emozione che si ricevono come un dono.
Si entra in questo mondo con un passo lieve, lento. Per vedere, ascoltare ciò che è indicibile, ignoto, inatteso, che apre orizzonti insospettati. L'arte e la scienza coincidono nell'essere sguardo. Entrambe ci insegnano a vedere.

Dome, l'uomo segreto, politico, paradossale, il dirigente anti autoritario che si batteva per la prevenzione gustando whisky e godendo il fumo di sigari, lo scienziato allegro e creativo, lo svizzero impaziente, il cittadino disincantato e scettico, che aveva nella fotografia e nell'arte il suo rifugio, se ne è andato a guardare altrove: “guardate, guardate bene, più lontano, più a fondo. L'arte di guardare è tutto".







Per una metodologia dello sguardo 2:
contro la violenza sulle donne
Glance as methodology: the art of seeing 2.
A picture against violence on women

Chiara Latini, Agnese Mussari


contesto

L’associazione “Me & You & Everyone We Know” con i suoi progetti mira a prevenire le molestie e le violenze sessuali nelle scuole secondarie, proponendo tre filoni di attività:
– Attività educative nelle scuole superiori al fine di prevenire e riconoscere molestie sessuali e violenza sessuale;
– Incontri di formazione per i professionisti della scuola, con particolare attenzione alle relazioni intergenerazionali;
– Coinvolgimento del contesto scolastico più ampio con attività di disseminazione nei paesi partecipanti (Italia, Romania, Svezia) e a livello europeo.


materiali e metodi

Dall’ottobre 2018 l’associazione “Me & You & Everyone We Know” aveva lanciato un concorso rivolto a ragazzi tra i 14 e i 19 anni che non ne potevano più di subire o vedere comportamenti violenti legati all’intimità, alla sessualità e all’identità come molestie sessuali, bullismo e violenza di genere.
Per partecipare bisognava creare la propria immagine contro la violenza di genere con l’ausilio di qualsiasi mezzo espressivo (disegno, pittura, collage, fotografia, fotomontaggio, ecc.).
I vincitori (due per Paese partecipante) hanno partecipato ad un incontro con un’unità della Commissione Europea che si occupa di Gender Based Violence, durante il quale hanno avuto l’occasione di presentare il lavoro svolto con la creazione della propria immagine e con i laboratori del progetto a cui hanno partecipato a scuola. Inoltre i referenti dell’associazione hanno presentato i piani di lavoro sul tema della violenza contro le donne della Commissione Europea.





racconto

Una sera mentre ero nel letto ho deciso di prendere una cartelletta dove mio fratello raccoglieva le sue creazioni da finto artista. Ho visto un sacco di immagini e ognuna di esse mi trasmetteva emozioni contrastanti, che spesso non riuscivo a cogliere. Poi ho trovato una copia della ragazza con l'orecchino di perla. Sono rimasta incantata, era davvero bellissima. Mi rappresentava la bellezza archetipica, intatta, candida e innocente. Come fosse un fiore nel pieno del suo incanto. Questa perfezione mi guardava e piano piano si trasformava: aveva occhi tremolanti, la bocca disfatta, il viso tirato e rovinato e il suo cuore pesante non le permetteva di stare retta e le faceva tremare le gambe. Era persa in un mare infinito per causa di qualcun'altro che le aveva tolto il dono più prezioso: se stessa. Proprio per questo un giorno alzò gli occhi aggrappandosi alle persone vicino a lei e iniziò a gridare. Gridava e rideva: guardava il mondo e trasformava la paura in amore per la vita.
Con qualche ammaccatura, lo sguardo incerto e il cuore distrutto, disegnavo nel mondo un quadro.
Un dipinto ricoperto di errori e sconfitte, che, all’interno dell’infinita e indomabile realtà che c’era intorno a me, però era perfetto, perché racchiudeva la vita stessa in ogni suo particolare, e ciò era perfetto.
Per la parte di riproduzione artistica decisi di chiedere ad un’amica, Agnese, che ha saputo traslare perfettamente la mia idea in arte. Inoltre ha arricchito l’immagine con un’intuizione grafica relativa allo stile fumettistico (ispirato a Roy Liechtenstein) che è venuta riflettendo sulla natura della violenza, banalizzata e quasi resa estrema come nei fumetti. Il connubio tra arte classica e contemporanea rappresenta anche l’universalità della violenza in ogni epoca.



Vermeer dipinse la Ragazza col turbante, o Ragazza con orecchino di perla con l’intenzione di rappresentare la bellezza sfuggente e la delicatezza di una donna cara, forse una figlia o una domestica, e l’idea grafica gioca con il contrasto tra la dolcezza espressiva e i colori semplici ed avvolgenti dell’opera originale e i colori saturati e la violenza pulp dell’opera finale.