Ci sarà - quando, come, perché, per chi - un “dopo” - Covid 19?

Gianni Tognoni
Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Per corrispondenza: Gianni Tognoni: giantogn@gmail.com

Summary. When, how, why and whom for there will be an “after” Covid-19? The announced, but unpredicted, radical and global experience of the Covid-19 pandemia has revealed the degree of ignorance, fragmentation, inadequacy of the national and international knowledge and strategies of intervention and, even more substantially, of coordination across all the critical areas of prevention and care. The importance of the nursing component of the organisation and of the technical and cultural aspects of health care delivery and accessibility has been underlined as a protagonist of the resistance and resilience during the worst period of the emergency, and should be specifically involved in this renewal, where a profound modification of the interactions, hierarchies, roles of various professions is required. A long term, widespread, flexible experimentation of country specific and international solutions must be envisaged and timely activated. The 'grammar' and the major concrete characteristics of the methodology which could be usefully adopted to guarantee the feasibility and effectiveness of this 'systemic' experimentation are proposed and exemplified.

Key words: Covid-19; clinical trials; outcomes.

introduzione

Il quadro di riferimento di queste note, che vorrebbero contribuire a rispondere (o meglio: a partecipare) alle domande del titolo, è il racconto-testimonianza proposto nel numero precedente di AIR:1-2 soprattutto per una sua caratteristica che è bene sottolineare, per verificarne poi ancor meglio la rilevanza al termine di questa riflessione. Quel numero non aveva un oggetto: ne' autrici/ori: era abitato: intensamente, per numero, esperienze, volti, parole,…da una comunità di persone che si erano trovate ad essere, letteralmente, gettate in una sperimentazione: a tempo pieno, senza confini tra contenuti sanitari e vite personali, senza tempi pre-definiti, senza esiti certi, con una razionalità di comportamenti nella quale la diversità dei bisogni umani era determinante per definire il grado di obbedienza alle regole sanitarie. Quel tempo non tornerà. Appartiene alla memoria di chi lo ha vissuto: in modi infinitamente diversi, molto contraddittori, ambivalenti, ai ricordi dei tantissimi che lo hanno visto e ne hanno, a torto o a ragione parlato. Queste due forme di memoria interagiranno, certo non linearmente, negli scenari che via via si svilupperanno per dare risposte al titolo.
Il punto di vista di questa riflessione vorrebbe riflettere, declinandola al futuro, la memoria di chi ha vissuto la sperimentazione sopra ricordata: per verificare insieme, senza illusioni, ma almeno con tanta curiosità, se anche (o soprattutto) fuori dalla emergenza la vita delle persone può essere la priorità e la linea guida.


il contesto

1. Non c'è domanda che si sia ripetuta più frequentemente di: 'il dopo, sarà meglio, o peggio, o …del prima?' Volenti o meno, per il modo con cui si è imposto nel mondo globale, uno dei protagonisti più antichi e sempre presenti della natura e nella storia, uno dei tanti virus, ha fatto scoprire agli umani che la storia può non essere lineare: e sorprendere. Tutt*. E dappertutto.
2. Siamo, ovviamente, nel dopo. Come si è dopo un terremoto, o uno tsunami: quando si contano i morti, le rovine, e poi si riprende? O dopo una esperienza che sembra aver cambiato le regole del gioco, e che ha svelato necessità od im-possibilità di mutare comportamenti e attese ?
3. Dietro il noi che si usa immaginandoci una collettività umana in cerca di risposte utili si incontra la prima sfida: il Covid-19 è un problema sanitario, o il pro-memoria che essendo la sanità espressione/ indicatore di diritti umani, la ricerca di risposte non può essere condotta in modo separato nella sanità, nell'economia, nell'organizzazione? E se fosse già in questo dubbio la prima chiave per guardare, senza barare al gioco, al rapporto tra il prima ed il dopo?
4. Strettamente congiunta con questa è l'altra verifica: il termine pandemia definisce ufficialmente, nel linguaggio internazionale, qualcosa che con la sua diffusività non conosce frontiere e può produrre eccessi di mortalità e/o di carichi di malattie ovunque. Ma questa definizione non è applicabile a tanti altri eventi o determinanti, perfettamente riconosciuti anche in sanità come cause degli 'eccessi' sopra ricordati? Non è difficile indicare alcuni nomi ( malnutrizione-fame, povertà …) perché con un minimo di buona volontà e di memoria ci si accorga ( almeno da dentro la sanità) che le pandemie sono molte, e sono presenti come e più del Covid-19, ed interagiscono: e dicono chiaramente che le pandemie interrogano la società nel suo complesso, e in questo contesto i cittadini-esperti in sanità sono chiamati a porsi il problema del loro prima vs dopo.
5. L'evento Covid-19 è storico. Sarà di quelli che si studiano a scuola, e non solo. Come la peste di Atene, o quella raccontata dal Boccaccio, o dal Manzoni o…: sono un numero infinito. C'eravamo abituati a pensare che ormai (dopo essere state per tanto tempo protagoniste anche da noi) queste pandemie fossero riservate non a 'noi', ma agli altri, più o meno invadenti come i migranti: confinabili in hotspot, o con muri o decreti di sicurezze. Il Covid-19 ci ha risvegliato ad una lettura del mondo globale che non può pretendere di regolare le frontiere in modo da lasciar circolare le merci e non le persone. E ha fatto vedere che con tutte le nostre 'democrazie' e 'servizi sanitari universali' siamo capaci di trattare (ovunque, non solo in Italia) gli anziani, i soli, i senza casa come se fossero altri.
6. Vivere come soggetti- vittime- attori un evento storico è interessante e intrigante: si è spettatori o protagonisti? Con chi stiamo, in sanità o nella società? Si devono tirar fuori da vecchi cassetti o culture pezze per rammendare il reale, o la storia è una grande, coinvolgente, sperimentazione della vita?


grammatica per una metodologia
sperimentale nel dopo- covid-19 

La cosa più certa e trasversale che ha caratterizzato fin dall'inizio la pandemia è stata la rivelazione-documentazione di quanto un virus ha potuto mettere in evidenza l'ignoranza-impotenza di un mondo globale, che fino alla vigilia programmava, prevedeva, faceva modelli di nuovi sviluppi per un tempo e con protagonisti tutti ben controllati e con ruoli chiari. Mentre la tecnologia al servizio della biologia permetteva in brevissimo tempo di descrivere e qualificare le caratteristiche genomiche del Covid-19, l'unica risposta che si era in grado di offrire era quella data per la pandemia che ormai si era cercato di cancellare dalla memoria, la spagnola, ai tempi della prima guerra mondiale: chiusura, isolamento, lavarsi le mani, igiene ambientale. 
Alla capacità di mobilizzare 'eroicamente' le cure intensive (pur con tutti i limiti ed i problemi connessi: tra cui spiccano le follie di pianificare da parte di politici e pseudo esperti letti di TI o addirittura ospedali in ambienti fieristici o capannoni) ha corrisposto di fatto , e non solo in Italia, un muoversi a tentoni, vendendo finte soluzioni, 'dando i numeri' senza permettere di capirne il significato, con gruppi di esperti di cui era soprattutto chiara la coincidenza tra la volontà di apparire e l'incapacità di comunicare, di dare un'idea di coordinamento…
Storia nota. Molto raccontata. La si ricorda qui perché la lunga convivenza - giorno dopo giorno, per mesi - con una sostanziale ignoranza e la ripetizione convinta (fino ad essere sospetta di essere un esercizio di pubbliche relazioni) che tante cose erano state sbagliate e si dovevano cambiare è il punto di partenza obbligato per verificare se, nonostante tutto, si è imparato qualcosa che permetta di pensare effettivamente ad un futuro che sia diverso.
Le parole-chiave proposte qui di seguito sembrano quelle fondamentali per vivere il tempo dopo Covid-19 come una vera e propria, prolungata, articolata, “sperimentazione”: intendendo con questo termine non una somma di progetti, di epidemiologia o di trial controllati, ma una strategia culturale, politica, organizzativa. Alcune delle parole scelte possono sembrare, ed inevitabilmente essere, controverse o parziali: non si tratta di fatto che di una banale “grammatica”, con cui sperimentare cammini nei quali l'universo infermieristico possa esplicitare e verificare i tanti ed innovativi ruoli giocati nella emergenza.

Sponsor è la prima parola-domanda, e la più cruciale. Chi promuove il futuro? La sanità, l'economia, la politica, le regioni, le commissioni più diverse? Con che ruoli? L'esperienza di una centralizzazione non comunicante e non condivisa, su tutto, è il dato più pesante da cui partire. La logica della sicurezza e dell'obbedienza senza dibattito, dialettica, confronto sui dati, sulla diversità delle scelte, è garanzia di fallimento. Una sperimentazione di un servizio sanitario, non è come la costruzione di un palazzo da parte di un architetto, o di geometri. La promozione-sponsorizzazione di un tempo di ricerca fortemente partecipativa deve riconoscere coloro che sono attori responsabili come parte della ideazione. Contenuti, tempi, criteri operativi, articolazione flessibile dell'universo infermieristico - nel pubblico e nel privato, nello strettamente specialistico, e nelle aree di sperimentazione del/con il sociale - possono essere solo il prodotto di un contributo infermieristico culturale ed istituzionale, non limitato a presenze occasionali nell'una o nell'altra commissione. 

Razionale e background: la formulazione di una ipotesi sulla cui base muoversi è sempre il passaggio più critico di un percorso di ricerca-sperimentazione. È un momento di verifica molto critica dei punti di accordo e disaccordo, di ciò che si sa e di ciò che è ignoto o poco chiaro. È pensabile che un programma di incontri reali (con tutte le mascherine del mondo) sui settori più controversi o più critici, possa occupare uno spazio di qualche mese per definire da parte infermieristica (con tutti gli interlocutori opportuni-necessari) un piano di sviluppo e di investimenti con cui confrontarsi con gli altri attori della sanità e della società? C'è una bibliografia critica essenziale di riferimento sulla quale indirizzare anche una informazione aggiornata rivolta all'opinione pubblica? Quale è, in altri termini, il follow-up, pronto a diventare politico (non solo esemplare per bontà …) di tutte le immagini di infermiere che giustamente sono state ricercate-ospitate dai mass media in tempo di emergenza?


principal investigators, steering committees, …

Una sperimentazione-ricerca di una cultura-organizzazione infermieristica per un tempo di rilettura delle priorità di un sistema/servizio sanitario e per la valutazione progressiva e differenziata di ciò che si sviluppa in progetti esplorativi o dimostrativi, deve essere pensata come un protocollo multicentrico: le/i responsabili locali non sono manovali/esecutori, più o meno informati, di protocolli di cui a volte è chiara soprattutto la incertezza (caratteristica-chiave di ogni sperimentazione vera); sono soggetti effettivamente responsabili di attività su cui confrontarsi regolarmente: la formazione di una massa critica di infermier* accountable nelle aree meno chiare o più controverse a livello conoscitivo è un passo essenziale (ad esempio RSA, riabilitazione, pazienti con demenza, popolazioni marginali …). Non solo come esercizio interno alla professione, ma come documentazione visibile di una professione produttrice di conoscenza, non solo esecutrice di direttive che vengono dall'alto, e soprattutto da fuori- (per usare i termini sopra indicati: dall'uno o dall'altro sponsor, o proprietario, politico od economico).

L’oggetto della sperimentazione, quello che permette il passaggio dalle buone intenzioni alla operatività, è prevedibile sia uno degli aspetti più problematici nella definizione di un volto di futuro del dopo-Covid-19. Per la metodologia da adottare anzitutto. Fatta di competitività? Separatezza tra competenze, professionali e rappresentative di interessi? Giocata su tanti tavoli, moltiplicando il senso di non-senso creato tra sanità e protezione civile? Domande tanto classiche, da suonare inutili. A meno di tradurle in un impegno specifico ed originale da parte infermieristica: a partire da tante esperienze concrete, e dal fatto di avere una tradizione-vocazione che parte dal concreto dei bisogni (dal basso, come si dice un po' per demagogia, o per darsi un tono, o per prendere in giro) per fornire risposte che sono sempre per 'qui ed ora', sembra importante: mappare le aree dove si deve garantire continuità tra sanitario e sociale, per contenuti, attori, risorse; disegnare un servizio per le popolazioni 'destinate' a quello che è stato l'universo delle RSA; ripensare seriamente, in modo flessibile e differenziato, ai tanti modi di organizzare il lavoro per team; programmare un monitoraggio prospettico in tempo reale per identificare 'focolai' non solo di contagio, ma di deficit assistenziali, di disuguaglianze che si traducono in violazioni di diritti;… Lungo gli anni anche AIR, come tanti, ha formulato buoni propositi.4-5 C'è solo da scegliere tra le priorità , di contenuti, di tempi, di risorse: ma bisogna ragionarci concretamente. Come per il punto precedente. Avendo attenzione, per una volta, dopo tanto tempo, ad una delle regole metodologiche fondamentali: sperimentare modelli organizzativi ha senso solo se la sperimentazione dei loro contenuti è stata rigorosa e rappresentativa. Sembra essenziale resistere, e in modo propositivo, alla deriva verso gestione e managerialità: un dopo-Covid-19 deve essere di fatto un aggiornamento vero del SSN in scenari sociali, economici, sanitari tanto profondamente cambiati.


indicatori- outcome- misure
di efficacia/appropriatezza 

È l'area dove più si è manifestata la distanza culturale (sarebbe più corretto dire: di civiltà) tra le istituzioni, i loro rappresentanti più o meno competenti, e la gente, la sua realtà, la sua vita.
Ancora una volta: non è una critica riservata all'Italia. La pandemia della espulsione delle persone da una informazione a misura dei diritti fondamentali (una versione capovolta, violenta, non protettiva della distanza di sicurezza: imposta da un 'alto' che pretende di dirigere nascondendo la propria impotenza ed irresponsabilità) è stato, e continua ad essere, l'indicatore più chiaro di quanto un dopo sanitario può essere reale solo se si misura come 'prossimità o distanza di democrazia sostanziale'.
Le implicazioni 'metodologiche' (con le quali si vuol concludere questa mini-grammatica) di questa componente della proposta di sperimentazione sono in stretta continuità con la conclusione del punto precedente. 
La logica ed il linguaggio dei bollettini di guerra che hanno preteso di tradurre l'informazione sulla pandemia in somme, sottrazioni, percentuali di morti, contagi, tamponi, mascherine, sono state l'espressione perfetta (da manuale) del disastro più grande che si è documentato nella cultura sanitaria, politica, della società negli ultimi 25 anni: la cancellazione della vita e delle storie delle persone reali dal linguaggio e dall'immaginario. In piena obbedienza all'economia che mente (sapendo di mentire) traducendo lo sviluppo in misure di PIL o simili, la sanità ha imposto un linguaggio rigorosamente aziendale a tutta la sanità. Budget, costi di malattie, tagli di personale…: i bollettini fatti di numeri, staccati dalle loro cause e contesti hanno occupato non solo il tempo del personale amministrativo, ma di tutt* coloro che lavorano in sanità. Così che non ci fosse più spazio per i bisogni concreti di vita, di visibilità, di cura dell'universo delle persone, che sono per definizione non riconducibili a misure standard. I bollettini del tempo Covid-19 - con il perfetto ribaltamento di ruoli e gerarchie tra salute e protezione civile- è stato una lunga scuola di alienazione dalla vita reale e dall'intelligenza dei problemi. Di fatto (cambiava solo la materialità dei dati: mascherine, contagi, tamponi, …: invece di liste di attesa, codici, ticket, pubblico, privato, convenzionato…) era l'espressione fedele di una stessa cultura.
La proposta metodologica è molto semplice (anche perché riprende un mai interrotto esercizio di memoria portato avanti su AIR):6-7 la formulazione da parte infermieristica di indicatori/misure di bisogni, di interventi, di risultati che includano sempre, come snodo centrale con cui tutte le variabili devono confrontarsi/incrociarsi, un riferimento diretto alla vita delle persone concrete di cui ci si è fatto carico.
Non si tratta di travestire questo impegno ritirando fuori dai cassetti indicatori di qualità di vita che assomigliano così spesso ai questionari di soddisfazione di Trenitalia, o di un qualsiasi servizio commerciale. È una proposta di ricerca-sperimentazione. Molto seria. Come parte e contributo a quella ri-scoperta della 'cura' come elemento determinante della società (non solo della sanità). Ne parlano nei modi più diversa gli economisti più importanti, il mondo del lavoro, quello dell'assistenza sociale, della migrazione. La cura è parte essenziale ed originale di tutto quanto fa parte della parità ed insieme specificità, di genere. È ben strano che il contributo - teorico, dottrinale, organizzativo, epidemiologico, clinico, … ecc.- del mondo infermieristico in questo ambito sia così raro o frammentato da essere di fatto invisibile (o citabile solo con affermazioni abbastanza generiche, da non entrare nelle trattative che contano).
Sarebbe bene non capitasse agli infermieri quello che nel Covid-19 è capitato agli epidemiologi: attesi come gli specialisti capaci di guidare nei labirinti più intricati e nei modelli più importanti: non solo in Italia, ma a livello internazionale: sono stati soprattutto spettatori, in attesa di dati puliti, o che la variabilità e la conflittualità passassero o presenze occasionali; o produttori di informazioni utili per i talk-show più che per una crescita di partecipazione democratica ad una presa di coscienza di essere soggetti e non vittime di un evento storico. 







Il mondo infermieristico è stato - per definizione e per espressione di una vocazione alla cura che ha sempre cercato di essere per le persone e le popolazioni, non solo per le malattie ed i sistemi (…nemmeno i servizi!) sanitari- profondamente parte dell'evento COVID-19. Occorre, che lo si voglia o no, declinare ciò che si è visto ed imparato, al futuro. Una grammatica non serve se è letta. Si capisce se serve utilizzandola, non come risposta ai problemi, ma come almeno guida al linguaggio degli interlocutori.


per una lettura metodologicamente
disincantata di dati, numeri, suggestioni
che potrebbero dis-informare 

La cronistoria e le tabelle sono a cura di Antonio Clavenna, Capo Unità di Farmacoepidemiologia, Laboratorio Salute Materno Infantile. Dipartimento di Salute Pubblica


Non è difficile riconoscere nelle Tabelle riassuntive proposte qualcosa che evoca quanto è divenuto familiare negli ormai molti mesi in cui la nostra vita ha dovuto essere condivisa, direttamente o meno, con il Covid-19: i bollettini delle 18, con il rito della successione tra sanità e protezione civile, lo stile della neutralità assoluta e senza commenti mirati alla infinita varietà attesa degli ascoltatori, i talk-show al servizio dei dibattiti ben regolati tra esperti, le cronache e le mappe dei giornali.
Si vorrebbe, con la logica suggerita dai commenti del contributo generale, proporre un esercizio minimo di sospetto: che è per il tempo di emergenza Covid-19, ma sembra essere un problema più diffuso e globale (v. Editoriale).
Per la Tabella cronologica, molto precisa per la parte italiana: non è surreale pensare di vivere- tra continue minacce di lockdown, seconde o terze ondate, arrivi salvifici di vaccini, farse di pseudo risoluzioni per le scuole di ordine e grado- in un mondo che non sa ancora:
– quando e dove effettivamente la epidemia è divenuta pandemia;
– quanto e perché il contagio ha preso forme tanto diverse e incomparabili tra paesi;
– se e quanto gli andamenti specifici di un paese in termini di tempi di diffusione, di picchi, di 'parziale cessato allarme' siano predittivi del futuro;
– …?

Ma la cosa ancor più drammatica è la memoria evocata nella tabella che pretende di essere epidemiologica ed ufficiale. Le domande sul senso, prima e al di là della affidabilità sono purtroppo e ridicolmente ovvie:
– la tabella confronta e mette in classifica paesi che non hanno tra loro nulla in comune, se non l'essere 'nomi' su mappe geografiche;
– c'è qualcun* che riesce a capire la comparabilità e la valutabilità in termini di gravità comparativa di dati così di cui è chiaramente nota la non affidabilità e riproducibilità. Per paesi che coincidono con i più disparati livelli di sviluppo? ed ancor meno comparabili per la eterogeneità assoluta dei contesti socioeconomici ed assistenziali e per statistiche sanitarie di base?
– l'Italia con i suoi 35 mila e più morti (già così incerti per distribuzione e causalità…) non sta tra i primi elencati nella Tabella: perché il suo denominatore dei casi e più basso, e non fa a tempo a comparire? 
– più in generale, non è preoccupante, che la scienza globale, che sta producendo con trilioni di dollari o euro un futuro vaccinato e migliore, possa produrre, far circolare, ragionare, su dati:
• che sembrano aggregazioni casuali di numeri,
• che non permettono nessuna elaborazione ragionevole, e tanto meno una comprensione dell'andamento nel tempo e nella geografia del problema che pretendono di rappresentare,
• che continuano a suggerire che la profonda e crescente dis-uguaglianza del mondo è scomparsa, eliminata da un nemico invisibile al quale opporre solo misure di sicurezza e contenzione.

Come si è detto all'inizio di queste righe, le domande pretendono solo di svolgere il loro compito: suscitare sospetti…
L'esercizio della verifica e dell'approfondimento è lasciato a chi è abbastanza curios* e responsabile da non giocare il ruolo di spettatore…


BIBLIOGRAFIA

1. Redazione, a cura della. Perché un numero di testimoniante-esperienze degli infermieri sul Covid-19. Assist Inferm Ric 2020;39:66-108.
2. Ambrosi E, Cantan F, Palese A, Di Giulio P, Mortati L, Tognoni G, Saiani L. Dossier Emergenza Covid-19: l'emergenza Covid-19 nelle parole degli infermieri. Assist Inferm Ric 2020;39:62-5.
3. Di Giulio P, Dimonte V, Alvaro R, Demarinis MG, Gobbi P, Lancia L, et al. Più infermieri nei posti di comando. Quotidiano Sanità 29 aprile 2020; http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=84657
4. Autori vari. Infermieri e Servizio Sanitario Nazionale. Assist Inferm Ric 2018;37:202-11.
5. Tognoni G. Linee guida per tempi di crisi. Assist Inferm Ric 2019;38:114-6.
6. Tognoni G, C'è un futuro per le radici? Assist Inferm Ric 2019;38:2-5.
7. Di Giulio P, Basso I. La voce degli infermieri sui tagli e le ristrutturazioni dei sistemi sanitari. Assist Inferm Ric 2018;37:42-6.