Metanalisi culturale 2: il dopo Covid-19


Gianni Tognoni

Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

Per corrispondenza: Gianni Tognoni: giantogn@gmail.com



Summary. Cultural meta-analysis 2: the after Covid-19. Against the background of the promises-expectations of an ethically and ecologically renewed and resilient world (declared needed to compensate and to avoid the repetition of the pandemic tragedy), the same methodology proposed in the heart of the Covid scenario has been applied: a cultural metanalysis – transversal through and comprehensive of the various points of view which have had ( and seem to have) an important role for a period defined as 'some light at the end of the tunnel'. After the mandatory priority of a focus on the most qualified health literature, the survey provides essential elements of information and analysis on scenarios which more closely coincide with the challenges to be faced if and when the imaginary of a 'different-better' world should be translated into reality, specifically in the model area of health. With the obvious limitation of an exercise of methodology (which cannot pretend to a completeness of coverage), both world famous and 'significant' authors are included, as well as Italian voices. The take-home – not easy – message is clear. The pandemic has not been an 'health-disease' event. Its 'syndemic' nature (i.e. its interaction with structural, permanent, economic, social, cultural pandemics) imposes the acceptance and the long-term pursuit of new civilisation paradigms. Health care is definitely one of the areas where this cultural challenge must be met.


Anche se gli esperti di previsioni sono tutti presi a valutare se e quanto gli algoritmi per il futuro della pandemia coincidono o meno con l'affermazione del titolo – ‘Siamo ormai in un dopo – i dati di fatto che contano sono già chiari: soprattutto perché i pacchetti di fondi pubblici che stavano alla base delle tante promesse fatte in tempi di crisi sono stati grosso modo distribuiti secondo logiche e settori che indicano priorità concrete. Il lunghissimo PNRR (lettura obbligata per dovere: o scoraggiata per non scoraggiarsi?…) sarà commentato nei settori e dagli attori più competenti ed istituzionali. Rimandando alla logica di un articolo simmetrico a questo, nei tempi in cui il Covid era una realtà ancor più ignota rispetto alle conoscenze oggi disponibili,1 si è ritenuto opportuno proporre in questa sede uno sguardo al contesto complessivo della cultura, sanitaria, ma non solo, che si è resa disponibile nella letteratura scientifica e non: sperando che i tanti punti di vista cui si rimanda aiutino a vivere con più disincanto, ma soprattutto con più lucidità intellettuale ed operativa, il tempo che sta davanti.

Nella scelta dei lavori inclusi in questa metanalisi trasversale, il criterio è stato anche questa volta molto semplice: non essendo possibile prendere in considerazione tutto il campione esistente di quanto pubblicato, si è scelto di esplicitare il bias di selezione: il percorso proposto include ciò che ha evocato risonanze importanti per un dopo-Covid-19 infermieristico, da parte di un fedele compagno di strada, interessato ad un futuro intelligente ed autonomo della professione.

Il punto di partenza, che è in qualche modo anche una sintesi degli obiettivi della metanalisi, è una riflessione editoriale2 su una ricerca fatta in Australia,3 ma che sembra essere uno specchio fedele della situazione generale. La pandemia ha messo in evidenza una capacità incredibile della ‘forza lavoro infermieristica' nell'interpretare il proprio ruolo con estrema flessibilità e creatività in situazioni difficili sia a livello clinico-assistenziale, che organizzativo, che sono state la regola nel tempo di Covid-19. La sfida urgente per la pianificazione del comparto infermieristico nel dopo Covid deve estendere un ripensamento profondo degli investimenti di formazione e di dotazione di personale dalle situazioni acute, a quelle culturalmente ed organizzativamente più complesse delle tante cronicità assistenziali, dove i ruoli clinici sono strettamente intrecciati con quelli sociali, nei contesti di istituzionalizzazione ed in quelli territoriali. Il futuro sarà sempre più in questi settori, per i quali tuttavia esistono per ora poche e timide affermazioni di principio, che non sembrano accompagnate da progettualità concrete e ben diversificate per la variabilità dei contesti nelle quali devono misurarsi, con indicatori di efficacia che devono coincidere con la qualità/sicurezza della vita delle persone, e non essere dipendenti da pre-determinati livelli di costi.

Nulla di nuovo in questa prospettiva: che rende però più esplicita la distanza tra un bisogno certo, e la carenza di pianificazioni fortemente orientate in termini di ricerca-sperimentazione, e non semplicemente di distribuzione di fondi.

La letteratura nei tempi di Covid-19 ha messo in rilievo, nei più diversi settori dell'assistenza, che i contesti di vita sono i veri determinanti degli esiti: la pandemia virale ha rivelato le tante sindemie strutturali di tipo economico, sociale, culturale.4-7 Un editoriale che riassume le sfide percepite come nuove negli USA,8 ed un altro che esamina criticamente la logica e le pratiche del servizio sanitario inglese9 chiedono con molta forza una conversione profonda della percezione e della identità dei professionisti della sanità. Le vulnerabilità dei pazienti hanno bisogno di uno sguardo e di interventi che vadano al di là della clinica. Il dovere professionale della cura richiede una vera e propria lotta per una economia che si prenda cura di tutt*. “Una risposta reale e sul lungo periodo alla devastazione della pandemia dipende dalla capacità di discontinuità dei nostri modelli organizzativi, … che devono cambiare da un approccio di copertura economica ad una cultura di servizio basata su uguaglianza-equità: il cambio è possibile solo se si traduce in politiche-pratiche di ricerca,…che includano non solo le malattie, ma la protezione reale dai rischi di perdita-restrizione di autonomia di vita…Non lasciamoci illudere da programmi di vaccinazione più o meno efficienti: gli ambiti e la profondità delle riforme necessarie per proteggere da pandemie-sindemie strutturali devono essere al centro non solo della politica ufficiale, ma della cultura di tutti gli operatori che intervengono nel welfare”.9

La pandemia è stata una grande e tragica scuola di visibilità del fatto che la salute non è un diritto universale: gli eccessi di mortalità e di sofferenza già mal calcolati nei nostri paesi (le sottostime sono state stimate fino al doppio dei dati reali, sia da parte degli USA, che dell'OMS), assumono dimensioni impressionanti se appena si allarga lo sguardo all'Africa,10 per non parlare dei veri inferni, sanitari e sociali, di India o Brasile. Più a fondo, la pandemia ha rivelato che il mondo della sanità è attualmente una delle forme più intollerabili di un mondo coloniale che continua a pensare che i nostri standard siano quelli che contano a livello globale. “Il paradosso delle diseguaglianze della salute globale consiste nel fatto che noi siamo i creatori di quella sofferenza che diciamo di voler alleviare o aiutare. È necessario un cambiamento radicale del modo di guardare al mondo: a livello filosofico, organizzativo, nelle modalità di produrre conoscenze, per immaginare un futuro dal punto di vista dei colonizzati”.11

La guerra, o la interminabile partita a scacchi sulla accessibilità ai vaccini – l'uscita dal tunnel – imprescindibile per i paesi ricchi, rimandabile senza scadenze per 'gli altri' – è stata oggetto di tante cronache in tutti i media, da non aver bisogno di essere raccontata nel dettaglio. Il suo messaggio è tuttavia molto chiaro: la pandemia ha prodotto molto meno, non più solidarietà ed universalità: i diritti di una merce che doveva essere (e così è stata chiamata) un ‘bene comune', cioè universale, sono stati difesi e cancellati, in nome di una proprietà, intellettuale e commerciale di una minoranza (che si è già arricchita per importi superiori al costo complessivo di due vaccinazioni globali). Se la gestione degli aspetti medici della pandemia dovevano essere il modello di un dopo Covid-19 con una sanità rinnovata a misura dei diritti soprattutto delle popolazioni più marginali, i dati concreti dei vaccini dicono che tra il dire delle promesse e degli impegni ripetuti all'infinito, ed il fare del presente-futuro dei servizi sanitari, c'è di mezzo il mare. La lettura perfettamente informata (fino al vertice, inutile, dei G20 verso la fine del maggio 2021) e neutra di una rivista ad altissimo impatto scientifico come Nature12 non solo riassume bene la vicenda del vaccino per questa pandemia ,ma quantifica, concretamente e simbolicamente, quella distanza coloniale sopra ricordata nel mondo che il Covid ha dichiarato unificato (= globale), e che è invece, per il dopo-Covid , altro”: a tutt'oggi, solo il 2% della popolazione africana di 1.2 miliardi ha ricevuto 1 dose di vaccino. I paesi africani importano, senza poterli contrattare pre-pagando, il 99% di tutti gli altri vaccini. Una relativa-parziale (ottimisticamente stimata intorno al 60%) autosufficienza non è prevedibile prima del 2040”.

Se la metanalisi si affaccia fuori dalla letteratura più strettamente scientifica-sanitaria, e getta anche solo un'occhiata ad alcune delle pubblicazioni che toccano più da vicino i settori che nei tempi di pandemia (e nel tempo attuale del PNRR) toccano il futuro della sanità, cioè l'economia, la digitalizzazione, la programmazione-gestione dei servizi, i motivi ed i materiali su cui riflettere sono molti. Se ne citano solo molto pochi, ma che sono esemplari, per la loro autorevolezza e le implicazioni: sono libri, se ne vorrebbe raccomandare la lettura, che è appassionante per gli orizzonti che aprono ed invitante per la chiarezza della scrittura, anche se impegnativa per i temi affrontati. Uno sguardo ai loro titoli nella bibliografia13-15 potrebbe scoraggiare. Di fatto sono di certissima pertinenza per il mondo infermieristico: non per le sue competenze assistenziali, ma in quanto rappresentante qualificato dell'essere cittadini in un mondo in cui le competenze sanitarie sono di fatto utilizzabili come strumenti di diritto e di cura solo se riescono ad essere interlocutrici molto coscienti dei loro co-attori: governi, amministratori, industrie, opinione pubblica, rappresentanti delle pervasive e inevitabili dialettiche tra pubblico e privato, valutatori, pianificatori…

I libri parlano, dati alla mano, documentatissimi, del fatto che un mondo altro è non solo possibile, ma dovuto: specificamente per la sanità perché torni ad essere area esemplare di sviluppo e di intelligenza anche economica, di un diritto alla trasparenza dei dati per non esserne sudditi e prigionieri (in termini di diritti personali, ed in un quotidiano che chiede di documentare tutto, rubando il tempo e non restituendo conoscenza). La stretta continuità di questa lettura con quelle apparentemente più tecniche dalle quali si è partiti è sottolineata dal fatto che Lancet affida ad un premio Nobel il commento, molto stimolante fin dal titolo, di uno di questi libri.16 Con un'ultima nota, non meno interessante. Tutti e tre i libri sono di autrici: e quando si guarda alle bibliografie specifiche per economia e sanità si ritrova tutto un filone molto originale di ricerca al femminile (dalla Nobel per l'economia Elinor Ostrom, alle esperte di economia circolare, o comunitaria, a…) che dà alla attenzione alla cura un quadro di riferimento ed una trasversalità – dalla sanità alla società, fino alla ecologia integrale – che costituirebbero senz'altro un contributo importante al ripensamento anche dei percorsi formativi infermieristici, così come della pianificazione delle interazioni multidisciplinari nella programmazione. Come riassume bene una di loro: “È tutto diverso quando si mette la vita al centro dell'economia e non l'economia al centro della vita”.

Ed è in questo senso giusto rimandare ad un'altra autrice, che il Covid si è portata via, e che nel mondo accademico ed assistenziale italiano ha senz'altro rappresentato una linea di lavoro importante nella direzione di fare del lavorare nella cura un osservatorio per essere abitanti di un presente al futuro'.17

Due tappe di lettura (se e quando il tempo c'è per farla in modo completo: obbligatoriamente per entrare ed approfittare della ricchezza delle storie professionali degli autori) possono integrare la esplorazione di linee di futuro coerenti con una logica di attenzione a due delle fragilità più a rischio in un dopo governato da una logica rigorosamente top-down, direttiva più che sperimentale, come quella che sembra guidare un PNRR rigidamente compartimentato per settori. La prima è di un antico e molto saggio autore ben conosciuto anche in questa rivista:18 la necessità riconosciuta di mantenere-creare spazi e tempi di ascolto e di accoglienza tra le persone, negli infiniti e mai prevedibili dis-incontri del quotidiano, è una delle sfide che le istituzioni non riescono neppure pensare di includere nella loro programmazione. Il camminare leggero di una solidarietà che non si studia né si insegna né coincide con identità professionali. Il testo dice semplicemente che si può, e perciò si deve, fare. Come parte ed espressione obbligatoria di un essere competenti di civiltà umana. La seconda tappa di lettura è molto diversa: decisamente più professionale: proposta dall'interno profondo di quella medicina generale infinitamente discussa, per come è oggi ed ancor più per il suo futuro.19 È un cammino – molto concreto, fatto di casi-scenari reali, raccontati come incontri in cui si è, volenti o meno, coinvolti mentre si legge – esemplare nella gestione dell'incertezza, del non sapere, del non riuscire a comunicare, del cercare insieme le soluzioni , in quel corpo a corpo tra il sapere ed il ruolo del MMG, i bisogni reali e/o percepiti e/o insolvibili di cui è fatta la medicina generale, al di là dei suoi ruoli ben definiti in termini di prestazioni basate sulla evidenza. Gli scenari sono di MG: i processi descritti sono tuttavia, dal punto di vista metodologico, ed ancor di più per la comprensione dei processi decisionali non automatici o lineari, molto interessanti e da tener presenti: soprattutto in un futuro che in un modo o nell'altro chiederà ai ruoli professionali, soprattutto nei mitici ed indefiniti ‘territori', di essere competenti in ascolto, in incertezza, in dialogo, in decisioni che dovranno sempre di più tener conto di essere, come rappresentanti del punto di vista istituzionale, uno solo (e non necessariamente il più importante …) degli attori del processo decisionale.

Tra i tantissimi interventi che lungo i mesi si sono interessati di annunciare, prevedere, raccomandare un dopo Covid a misura delle più complessive sfide globali evocate dalla pandemia, la proposta di una traduzione operativa, politica, degli scenari di fondo della società venuta da un personaggio atipico, e certo non sanitario, come Sanders, il perenne candidato 'socialista' alla vice-presidenza degli USA, è sembrata la più sintetica e chiara.20 La sua presentazione nella Tabella 1 vuole sottolinearne un possibile utilizzo anche didattico. È un primo risultato intermedio della metanalisi, che si potrebbe così formulare: “la metodologia per guardare ad un futuro che sia una dis-continuità in termini di contenuti, ma una stretta continuità cronologica in termini operativi è quella di avere un coraggio che dovrebbe essere ovvio, ma è raro: quello di prendere sul serio la vita concreta delle persone, e trovare il modo di farne sempre il punto di partenza, ed il criterio di valutazione”.




Il tempo della pandemia ha avuto, inevitabilmente, tra i suoi protagonisti assoluti la epidemiologia: della estensione e della gravità dei contagi, dei casi complicati ed in terapia intensiva, dei morti, più o meno in eccesso ed in-evitabili. I dati ed i rapporti sono stati, e continuano ad essere, numerosissimi, e nello stesso senso non riconducibili ad una visione di insieme o di comparabilità tra i diversissimi contesti nei quali la pandemia si è incrociata con le tante sindemie. Uno dei modi più sintetici per domandarci dove ci si trova mentre si entra in un dopo pieno di domande più che di risposte, è quello di guardare trasversalmente a che cosa è successo ai diritti fondamentali delle persone e delle popolazioni. Una proposta di lettura disincantata non è ottimistica: “è ufficiale: i diritti umani sono scaduti”.21

L'epidemiologia di quanto è successo alla popolazione della ‘striscia' (neppur più un territorio, un paese, un luogo umano) è raccontata come un canto-denuncia-memoria da un abitante di Gaza: un docente di economia nella università Al-Aqsa, sempre nella 'striscia', che è anche linguista, e poeta. Il suo rapporto in tempo reale testimonia il bisogno, per un tempo in cui i diritti umani sono come farmaci scaduti, inutili, di uno sguardo sul mondo in cui i numeri non devono nascondere le persone e le loro vite.22 La Tabella 2 può essere un modello di quella che dovrebbe essere una epidemiologia del futuro: tanto più affidabile quanto più è qualitativa, senza statistiche di significatività. Generatrice di 'evidenze' che hanno la scientificità della visibilità, incommentabile. Da accogliere come parte di una memoria che chiede un: basta!




È la stessa richiesta nata nel cuore della pandemia di fronte ai camion militari che trasportavano altrove le casse dei morti che non trovavano posto nei cimiteri e nei crematori. Non diversa dalla richiesta – intollerabile, tanto da essere negata, rimandata, degradata ad una discussione tra politici in guerra tra di loro nell'Unione Europea – ripetuta giorno dopo giorno dalle immagini dei migranti che lungo tutta la pandemia hanno continuato ad essere respinti, annegati, torturati, suicidati, bruciati alle frontiere di paesi ormai preoccupati solo di ricevere i fondi per la loro resilienza e ricostruzione.

Quale sarà il dopo? E quale epidemiologia sarà in grado di non essere solo il racconto di realtà intollerabili come quelle, perfettamente documentate e visibili, delle donne indiane che lavorano da schiave di tempi coloniali nelle catene di produzione di ciò che consumiamo di frutta e verdura nell'agropontino?23

Mentre queste righe vorrebbero arrivare alla conclusione, un ragazzo del Ghana, sopravvissuto al deserto e alla Libia, 23 anni, in Italia da tre: aveva studiato e lavorato, ma non era stato ‘riconosciuto' malmenato a sangue da tre ragazzi italiani, accusato senza prove di voler rubar loro un motorino, rinchiuso in un CPR senza speranza di avvocato e di futuro, si è suicidato.24

Dal paese all'origine della pandemia, la Cina – divenuta sempre più protagonista del mondo globale, membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che blocca ogni (debole!) tentativo di fermare il genocidio dei Rohingyas ed ora della popolazione civile di Myanmar – sono giunte le poesie di un operaio, anche lui di 23 anni, suicidato per disperazione.25 Alcune delle sue parole (Tabella 3) sembrano essere le più adeguate per chiedere se e quanto ci sarà un ‘dopo' che permetterà ad una 'epidemiologia condannata al puro linguaggio della poesia' di non essere solo testimone di vittime, ma linguaggio di una resistenza che libera.





Conclusione 


In una metanalisi culturale che vuol guardare al dopo della pandemia senza cadere nella rassegnazione ad un modello di sviluppo (incapace? indisponibile?) ad un futuro diverso, non poteva mancare la voce di Francesco: profondamente dissonante rispetto alla sordità-silenzio- ripetitività dei poteri che continuano a negare perfino una sospensione temporanea delle regole del gioco dei 'proprietari' della vita. Non c'è bisogno certo di citare in bibliografia I testi pertinenti. La lettera enciclica “Fratelli tutti', così come il suo messaggio di pace condiviso con gli altri leader religiosi, il discorso di accettazione del premio europeo Carlo Magno, sono un esempio di visione per un dopo che ha il coraggio almeno di un linguaggio che non sia quello del rammendare tessuti che non stanno più insieme.

È un augurio. Di cui sperimentare (nel senso più forte del termine, ben noto in una sanità che non pretenda di andare avanti negando le proprie ignoranze e rigidità) la praticabilità. Ed è importante sottolineare la continuità di questa necessità di visione – missione secondo cui muoversi, con quanto li nucleo delle donne economiste che si è incontrato al centro di questa metanalisi ha indicato come condizione imprescindibile per un futuro di cambiamenti culturali e strutturali. La sintesi dei loro auguri è affidata ad un'altra donna, Arundhati Roy,26 indiana, scrittrice originalissima, attivissima resistente alla dittatura disastrosa e feroce (anche nella gestione della pandemia) di Modi.

“Storicamente, le pandemie hanno costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a ricominciare daccapo. Questa non fa eccezione. È una porta di collegamento fra il mondo passato e quello futuro. Possiamo scegliere di attraversarla, portandoci dietro le carcasse dei nostri pregiudizi e del nostro odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e delle nostre idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli carichi di fuma. Oppure possiamo camminare leggeri, con pochi bagagli, pronti ad immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per questo”.



post scriptum - come spesso succede,

la sintesi più efficace di un lungo cammino

la si incontra dove meno la si aspetta


1. In un ‘giallo':27 nel contesto molto concreto di una Milano, fatta di intrighi, di periferie, di poteri che controllano con i mass-media la cultura ed i comportamenti della società, la storia di un 'sequestro perfetto' diventa il racconto del sogno impensabile di una comunicazione che svela le verità che stanno dietro intrattenimenti e talk-show di grande successo. Per definizione non si possono dare tracce per un ‘giallo': come in fondo non se ne hanno per il tempo che viviamo: il giallo, affascinante, rende più leggero il vivere, non facile, di questo tempo.

2. Un'altra donna, fotografa, ha prodotto il rapporto più affidabile (obbligatorio da avere: per come le immagini rendono presente e senza tempo il racconto: e sono una vera lectio di metodologia e di etica) sulla precarietà dei confini tra vita e non vita di una popolazione simbolo assoluto di un dopo che mai arriva: quella dei bambini palestinesi. Con l'augurio, difficile, che Liliana Segre fa aprendo il testo: “…siate sempre quella farfalla gialla che vola sopra i fili spinati”.28



BIBLIOGRAFIA


1. Tognoni G. Una metanalisi culturale per tempi post Covid-19. Assist Inferm Ric. 2020;39(4):205-10.

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13. Kelton S. Il mito del deficit. La teoria monetaria per un'economia al servizio del popolo. Roma: Fazi Editore, 2020.

14. Zuboff S. Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri. Roma: Luiss University Press, 2019.

15. Mazzucato M. Missione Economia. Una guida per cambiare il capitalismo. Bari: Laterza, 2021.

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20. Sanders B. L'infrastruttura più importante è quella umana, 20 aprile 2021. https://www.labottegadelbarbieri.org/ linfrastruttura-piu-importante-e-quella-umana-bernie-sanders/

21. Tognoni G. È ufficiale: i diritti umani sono scaduti. Volerelaluna 24 maggio 2021. https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/05/24/ e-ufficiale-i-diritti-umani-sono-scaduti/

22. Medouk Z. Un message de Gaza. http://www.defenddemocracy.press/un-message-de-gaza/

23. Bulfon F. Pontinistan. Zero diritti, zero orari. La vita d'inferno delle braccianti indiane. L'Espresso, 25 maggio 2021.

24. Revelli M. Una morte che pesa come un macigno. Il Manifesto, 25 maggio 2021. https://ilmanifesto.it/una-morte-che-pesa-come-un-macigno/

25. Lizhi X. Mangime per macchine. Catanzaro: Edizioni Istituto Onorato Damen, 2015.

26. Roy A. The pandemic is a portal. Financial Times, 3 aprile 2020.

27. Robecchi A. Flora. Palermo: Sellerio Editore, 2021.

28. Mariotti E. Dalla stessa terra/From the same land. Pratovecchio Stia (Arezzo): AGC Edizioni, 2021. www.agcedizioni.com