Le reti nella Comunità: dalla teoria alla pratica


Paola Di Giulio,1 Alberto Dal Molin2

1Università di Torino

2Università del Piemonte Orientale


In questo contributo vengono presentate tre esperienze che illustrano modi diversi per “fare rete”. Due di queste esperienze sono state censite nell’ambito del progetto Reaction, che ha lo scopo di promuove la rete a sostegno della domiciliarità dell’anziano, attraverso un sistema di “welfare comunitario” e la tecnologia. Per informazioni sul progetto si rimanda al Riquadro 1. 





Al di là delle ovvie diversità di metodi e obiettivi, le tre esperienze hanno un comune denominatore: creare delle sinergie coinvolgendo i cittadini, i servizi di volontariato per fornire non solo prestazioni sanitarie, ma anche assistenziali, indispensabili per la vita quotidiana (spesa, trasporti, pulizia della casa, preparazione dei pasti, igiene quotidiana, …). Curare a casa, chi può essere curato a casa, non si ottiene solo con interventi e professionisti sanitari o con poche ore di lavoro OSS all’interno della Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), perché la presa in carico assistenziale di una persona non autosufficiente deve consistere anche nel sostenerla nella vita quotidiana.

Le brevi riflessioni che seguono, per accompagnare le tre esperienze presentate, riassumono alcuni dei nodi da tenere presenti nella creazione e consolidamento delle reti formali e informali.

L’informazione. Si tratta di un aspetto che viene spesso trascurato, ma che è invece fondamentale per il successo di qualunque iniziativa. È fondamentale conoscere le esperienze sul territorio per evitare di proporre servizi già esistenti, per pianificare iniziative, per evitare duplicazioni. Mancano spesso i canali di informazione per sapere quali organizzazioni operano sul territorio, che servizi forniscono, come contattarle. In questo senso l’esperienza Svizzera ha creato un utile strumento di informazione sia per gli operatori che per i pazienti.


L’organizzazione. Le reti possono nascere spontaneamente in risposta ad un’emergenza (come tante di quelle censite nel lavoro di Viottini et al. nate in risposta all’emergenza Covid-19) ma vanno mantenute, consolidate, alimentate, per evitare che si esauriscano (perché non riescono a far fronte alle richieste) o si dissolvano, una volta esaurita l’emergenza che le ha originate. Molti bisogni (solitudine, necessità di stimolazioni intellettive, di accompagnamento) non scompaiono con l’emergenza.


L’integrazione. L’integrazione più scontata (e strumentale per molti aspetti) è quella del servizio pubblico con il terzo settore/volontariato, che è l’aspetto che caratterizza la maggioranza delle reti: i servizi di volontariato, se integrati in modo costruttivo nella rete di servizi offerti, potenziano la risposta coprendo aree non coperte del servizio pubblico. L’esperienza della val Chiusella amplia il concetto di integrazione, coinvolgendo studenti che imparano a fare diagnosi di comunità, Organizzazioni che si tassano per favorire l’integrazione di studenti e comunità locali e collaborano, integrandosi tra di loro. Questo livello di integrazione ha richiesto una progettazione di più di un anno. L’integrazione deve anche esserci tra professionisti e non professionisti di diverse aree (ad esempio infermieri e assistenti sociali, parrocchie e servizi comunali, comune e servizi sanitari) che concorrano insieme alla risoluzione dei bisogni dei cittadini. 


La co-progettazione. Il lavoro in rete richiede coinvolgimento in tutte le fasi, soprattutto nella definizione degli obiettivi e nella pianificazione degli interventi. Fare co-progettazione non è facile perché non c’è ancora la mentalità e non conosciamo le modalità concrete per attuarla. Ma è una delle sfide per far sentire parte della rete tutti i protagonisti.

La prospettiva è dunque la collaborazione: tra istituzioni, professionisti sanitari e sociali con le persone assistite, le loro famiglie, i caregiver, i cittadini e le loro associazioni, fino alla riorganizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari e a un nuovo disegno di politiche sanitarie, con il coinvolgimento dei professionisti, degli operatori sanitari e delle associazioni dei malati. Le tre esperienze presentate forniscono esempi e strumenti per rendere attive e operative le reti di presa in carico.