La relazione come ‘evento sentinella’: un augurio di futuro


Il titolo di questo editoriale prova a riassumere – traducendola in una proposta di fondo per la professione infermieristica che si trova di fronte a un dopo Covid incerto tra le tante promesse fatte e le poche certezze finora disponibili – l’ipotesi che è al centro di questo numero, soprattutto con i contributi/riflessioni del Dossier (pp. 103-128).

A partire dal contesto che più ha reso visibile e coinvolgente il potenziale dirompente della pandemia, l’intreccio-conflitto tra cura e sicurezza in terapia intensiva, si propongono esperienze-contributi che raccontano la resistenza-creatività di équipe assistenziali nel mantenere-inventare condizioni di ‘relazione’ come componente irrinunciabile di un diritto-dovere di assistenza.

Riconoscere a queste esperienze, che sono eco e richiamo a tanti episodi delle lunghe cronache del tempo pandemico che mettevano in evidenza la capacità di ‘umanità’ della professione infermieristica, una qualifica di ricerca non si presenta dunque come un prodotto particolarmente originale nei contenuti, ma come un invito a fare della cronaca un ‘evento sentinella’: un promemoria positivo e obbligante di una situazione che non deve essere considerata una eccezione più o meno casuale, ma un compito-obbligo permanente.

Assistiamo a un capovolgimento metodologico dell’uso tradizionale di ‘evento sentinella’, che diventa non segnale di allarme e invito all’attenzione per un rischio, ma sottolineatura formale del fare della relazione non solo una espressione eticamente e civilmente dovuta, ma una protagonista prioritaria dei processi di cura. Qualcosa da garantire non ‘se e quando c’è tempo’ – quella che si può pianificare-valutare come ‘variabile dipendente’ – ma da adottare e praticare soprattutto per e nelle condizioni più critiche: per le fragilità delle persone che si curano, e/o per la difficoltà delle condizioni logistiche e delle risorse.

I contributi proposti non pretendono di essere rappresentativi ed esemplari: mirando a essere un promemoria paradigmatico di tematiche che sono ben presenti nella letteratura e nei documenti programmatici (vedi anche la revisione di p. 129), possono essere considerati come parte di un interesse di fondo della rivista nell’arco dei suoi 40 anni (p. 139), ma ancor di più come parte di un impegno difficile per un tempo che non si annuncia ideale – considerando l’attuale quadro politico-istituzionale (non solo italiano!) – per quanto riguarda il rispetto dei diritti di vita e di pace delle persone: l’emergenza delle relazioni è tutt’altro che limitata alle terapie intensive.

I punti che seguono vorrebbero augurare all’evento sentinella della relazione in contesti critici, di essere protagonista, pieno di fantasia, dei tempi che ci attendono.


Augurio 1. È quello di fondo: riguarda il rischio maggiore che la sanità sta correndo da tempo, e in modo accelerato negli ultimi anni in cui la sostenibilità economica è la variabile da cui tutto dipende. È un augurio-impegno di evitare che le malattie diventino più importanti della vita delle persone, e di vincere le tante piccole e grandi guerre dei costi, delle carenze di personale, tra pubblico e privato, tra regioni etc.


Augurio 2. Nei tanti discorsi che si fanno sulla personalizzazione (attraverso l’informatica, la genetica, o gli algoritmi), la centralità della persona viene venduta come ovvia: l’augurio è di non credere mai alle promesse e di fidarsi solo di risultati visibili, percepiti e misurati da chi è portatore di bisogni, e non da intervistatori-controllori esterni. Le vite delle persone non possono essere intrappolate solo in definizioni-diagnosi-standard: soprattutto quando sono fragili, esse hanno bisogno, tanto quanto delle loro necessità assistenziali, della fantasia con cui la relazione di cura viene istituita e gestita: è l’esatto opposto della ‘ovvietà’ delle raccomandazioni.


Augurio 3. Specificamente diretto alla cultura infermieristica, è l’augurio di mantenere, coltivare, praticare, dal tempo della formazione, il gusto della fantasia come condizione particolarmente importante per interpretare, con una fedeltà professionalmente indiscussa, i princìpi, le linee guida, il nursing basato sulle evidenze, l’attenzione all’appropriatezza, le strategie multidisciplinari non ristrette a quelle sanitarie, la gestione del tempo etc.


Augurio 4. Ricordare del tempo eroico del Covid (al di là della fatica inimmaginabile, che era il costo per garantire la sicurezza, e per evitare l’incubo delle ‘bare in eccesso’ affidate ai militari) la sorpresa e, contemporaneamente, la normalità con le quali si interpretavano ruoli e gerarchie, all’interno della professione e con le altre figure professionali, che i mansionari e le programmazioni irrigidiscono in nome spesso di una efficienza che risponde a un’efficienza economica, più che a un’efficacia assistenziale.


Augurio 5. Rispetto a una cultura delle procedure, cui è evidentemente importante obbedire, avere sempre presente quel principio assoluto, che è stato fondamentale nella formazione di tutte le democrazie e nel successo di tutte le lotte per la pace e la dignità delle persone (dalla obiezione di coscienza, ai diritti sul lavoro, ai diritti umani, anche ma non principalmente sanitari, di inizio e fine vita, alla resistenza etc.): l’obbedienza non è necessariamente una virtù, anzi può essere la connivenza con la violazione dei diritti primari e fondamentali. Mentre viviamo in un tempo di guerra, la sanità, un po’ ovunque nel mondo, e in modo importante anche in Italia, vive un periodo di transizione che può essere irreversibile: da una identità che si certifica per la capacità di innovare-ampliare il diritto universale alla vita, a un ruolo di indicatore di diseguaglianza. Anche questo augurio non è facile.


Augurio 6. È un augurio molto diverso, che potrà apparire strano, ma è fondamentale. È suggerito da uno degli articoli più belli e innovativi pubblicati su una rivista scientifica negli ultimi anni, di cui vale la pena di riportare il titolo qui, non in nota o in bibliografia, perché il titolo è il risultato, ed è nello stesso tempo (si dirà subito dopo il perché) un augurio molto pertinente: The evolving SARS-CoV-2 epidemic in Africa: insights from rapidly expanding genomic surveillance, di Tegally et al. e pubblicato su Science 2022;378(6615):eabq5358. È un articolo lunghissimo per una rivista scientifica: 11 pagine piene + 8 pagine fittissime di tante centinaia di nomi degli autori e delle istituzioni.

È il racconto – arricchito da numeri, tabelle, mappe – di come, di fronte allo scandalo del mantenimento dei brevetti e dell’esclusione dai vaccini delle popolazioni africane, si è ‘disobbedito’ alle regole rigide del mercato, per inventare e testare una piattaforma continentale, di tutti i paesi e le istituzioni, per creare almeno un primo profilo di epidemiologia genetica. È una ricerca-sperimentazione di collettività e collaborazione per avere un futuro non condannato alla frammentazione e alla dipendenza.


L’augurio è quello di avere tempo, fantasia, disobbedienza, libertà per pensare a un futuro professionale che sia diverso, proporzionale alle sfide che il mondo impone. La moltiplicazione di reti che si riconoscono come parte di un unico progetto (anche nella ‘provincialissima’ Italia, che programma di dividersi di nuovo tra ricchi e poveri anche in sanità) di ricerca di civiltà è una prospettiva che val la pena di considerare: per un mondo infermieristico che sia modello anche per le altre professioni.