Misurare e valutare alle frontiere incerte tra quantità e qualità


Gianni Tognoni

Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

Per corrispondenza: Gianni Tognoni, giantogn@gmail.com


Summary. Measuring strategies and instruments at the uncertain frontiers of quality and quantity. As a development of previous contributions in this section on methodology, and with a specific reference to the ongoing discussion in the literature on the reliability and relevance of quantitative measures of qualitative dimensions such as satisfaction, the present comment underlines the need of a ‘cultural' approach to the problems which are a mix/crossroad of quality and quantity. Two most recent very brief, didactical, provocative publications, by a woman mathematician and a famous world-renowned economist respectively, are suggested as model examples of the need and potential contribution of a broader, multidisciplinary, culturally contextualized research strategies and instruments.


Key words: Measurement, Quantitative data, Qualitative data, Culture of measurement.


introduzione


Questo contributo può essere letto - e soprattutto utilizzato per verificarne criticamente la rilevanza, sia nell'attività professionale, sia nel quotidiano per interfacciarsi con le cronache sociosanitarie - avendo come quadro di riferimento:

1. da una parte, le due riflessioni metodologiche, strettamente collegate anche se spaziate nel tempo, che su questa rivista1,2 avevano posto l'accento sulla crescente necessità di sviluppare un rapporto allo stesso tempo molto rigoroso e molto disincantato dei dati quantitativi, sempre più spesso proposti in contesti altamente ambigui: per travestire di credibilità non importa quale affermazione, dispensando da verificarne la affidabilità, quando dovrebbero invece essere uno strumento che obbliga a ri-conoscere che l'interpretazione delle quantità (soprattutto nei campi che toccano realtà complesse, o che semplicemente descrivono il vivere) dipende fortemente da una considerazione-conoscenza dei contesti che impongono per il dato che quantifica anche una lettura decisamente qualitativa;

2. dall'altra parte, un breve, ma molto chiaro e autorevole punto di vista, pubblicato sul JAMA, che rivolge l'attenzione a uno dei capitoli più di successo (certo rilevante, ma anche molto trendy) nelle pratiche-pianificazioni-valutazioni sanitarie, come è la misura della soddisfazione del paziente. Il titolo del contributo, qui di seguito tradotto, riassume bene l'ambiguità di cui si parlava sopra: “E se gli strumenti che misurano la soddisfazione del paziente fossero di fatto dannosi sia per i pazienti che per i medici?”.3

Il breve riassunto dell'articolo, riportato nel Riquadro 1, rende peraltro superfluo ogni commento: le evidenze disponibili confermano, se si prendono i dati sul serio, il vecchio principio che ricorda che la buona volontà e qualità delle intenzioni non si traduce facilmente in risultati coerenti e positivi; la variabilità delle persone non si lascia ricondurre alle pretese di descrizioni che sostituiscono la ‘eventuale' significatività statistica prodotta da strumenti assunti come standard alla osservazione concreta e al rispetto dei vissuti e dei bisogni dei protagonisti reali delle ‘relazioni’.




Lasciando alla buona volontà di chi legge il compito di andare a verificare i contenuti delle citazioni, è utile offrirne una sintesi che si traduce poi nella domanda cui si vuol proporre la risposta che è l'obiettivo di questo contributo:

l'obiettivo primario e imprescindibile dei numeri, quando si riferiscono a persone-popolazioni è quello di suggerirne-rappresentarne-renderne parlante e visibile la vita: i numeri che quantificano sono indicatori-guida a realtà da comprendere, ed eventualmente adottare, per gli obiettivi più diversi;

• le discipline che regolano l'uso dei numeri - come la statistica e la epidemiologia, in tutte le loro versioni, metodologie, sofisticazioni - devono essere obbligatoriamente in stretto dialogo con le discipline altre per rendere più affidabile il compito-dovere di garantire alla vita delle persone una visibilità più fedele alla variabilità-ricchezza-incertezza della vita;

quanto più il campo in cui si lavora ha a che fare con la vita (e non solo e strettamente con suoi episodi, eventi, aspetti, quali la clinica di una malattia, o il profilo tecnico di un trattamento, o una misura oggettivo-fattuale di un parametro), e ci si interfaccia con gli scenari più diversi (dal diritto, alla psicologia, alla economia, ai desideri, alle paure…), tanto più la metodologia necessaria per utilizzare in modo intelligente-responsabile i dati deve corrispondere a una cultura (dando per acquisita una competenza tecnica nella gestione e interpretazione dei dati stessi): che non è mai un sapere tecnico, ma l'espressione di un modo di vivere e relazionarsi tra valori e visioni del mondo tra persone e storie molto diverse. Ma questa cultura si può imparare, e dove, e come?


È ovvio che la prima risposta a questa domanda è negativa. La cultura non si studia né si impara per fare un esame, o un progetto. E ognuna/o ha il suo percorso, di ricerca e di vita, che le/gli permette di avere uno sguardo, delle aspettative, un linguaggio, delle scelte di vita e attività che nel corso degli anni si traducono in comportamenti, progetti, modi di essere presenti nella realtà che coincidono con una identità culturale. In questi percorsi personali un ruolo determinante lo occupano evidentemente gli incontri. Di tutti i tipi: imprevedibili e programmati, virtuali e reali.

La proposta di questo contributo vuol essere un piccolo passo in questa direzione. Molto semplice, che non occupa troppo tempo, né investimenti importanti. Sono due letture che affacciano a mondi che sono particolarmente significativi per un cammino responsabile nel mondo dei dati.

Il primo incontro è con Chiara Valerio,4 una matematica, ricercatrice, insegnante, saggista, capace di una scrittura essenziale, che fa entrare in dialogo, accompagna in incroci con le realtà che più contano soprattutto per chi lavora in sanità. Il suo contributo, rigorosamente metodologico, non ha nulla della noiosità-affermatività di chi sa le cose per insegnarle. È un racconto che val la pena di ascoltare. Non ha senso riassumerlo. Gli incontri si fanno: anche solo per curiosità.

“… La scienza non avanza per certezze, ma per ipotesi: è verificabile. Le verità della scienza evolvono. E pensare agli scienziati come ai sacerdoti delle soluzioni e della guarigione è un modo di delegare la responsabilità politica… Come la comprensione, la democrazia non si sceglie una volta per tutte: va esercitata, rinnovata e verificata, somiglia a una teoria scientifica… la democrazia è complessa. La dittatura è più semplice. Uno comanda, tutti gli altri eseguono. La dittatura non è matematica, non si evolve e non si interpreta, cambia colore, ma funziona sempre allo stesso modo… non ha altra ipotesi che il principio di autorità. La democrazia è matematica, si basa su un sistema condiviso di regole continuamente negoziabili… come il linguaggio, e tra i linguaggi la matematica, non è naturale, non è un fiore che sboccia, è una costruzione culturale… esercita al contesto e a essere cittadini… istiga alla responsabilità, non alla differenza, ma all'uguaglianza davanti ai diritti e ai doveri. Non esclude, crea comunità. La democrazia e la matematica non subiscono il principio di autorità dell'urgenza”.


C'è chi insegna

guidando gli altri come cavalli

passo per passo: forse c'è chi si sente soddisfatto

così guidato…

C'è pure chi educa, senza nascondere

l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo, ma cercando

d'essere franco all'altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

(Danilo Dolci)


Il secondo incontro, anch'esso leggero, per dimensioni e impegno, è con Thomas Piketty,5 uno degli economisti che negli ultimi anni ha avuto più risonanza, non solo nel suo paese, ma letteralmente a livello mondiale, con testi densissimi di dati, e d'altra parte accessibili anche a un pubblico di lettori non specialisti, come very best-seller. Il tema non potrebbe essere più attuale: per gli argomenti esplicitati nel titolo e nel sottotitolo, e perché collega in modo provocatorio, e allo stesso tempo didattico, due obiettivi che sono centrali per una epidemiologia, e ancor più per quella cura che ritorna con tanta insistenza nei discorsi sulla e della sanità, ma fatica ancor di più a tradursi in realtà: ‘misurare', ‘verificare'. Come ben noto, e perfettamente documentato nel punto di vista sopra ricordato di JAMA,3 uno dei modi più frequenti ed efficaci per fare dei dati che pretendono di misurare qualcosa, nel bene e nel male, uno strumento di dis-informazione e di ambiguità, è quello di staccare le ‘evidenze', proposte con i dati, dalla documentazione-discussione delle loro implicazioni per modificare le realtà di cui si parla. Per restare nel settore di competenza di Piketty, non c'è nulla ormai (nel mondo dell'economia e della sanità-società) più evidente delle diseguaglianze, delle discriminazioni, di guerre esplicite tra i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma non c'è nulla di più rigorosamente intoccabile e immodificabile, pur essendo chiaro che disuguaglianze e discriminazioni sono sinonimo di crimini contro l'umanità e la dignità. Senza pretese di cambiare il mondo, la metodologia di Piketty mostra invece come questa dissociazione sia intollerabile, ma soprattutto modificabile.

“Questo piccolo libro ha una sola ambizione: mostrare che è possibile discutere concretamente sul modo migliore di combattere le discriminazioni e permettere la convivenza civile… Promuovere l'uguaglianza reale nell'istruzione e nei servizi pubblici, superando l'enorme ipocrisia dell'attuale sistema, potrebbe riunire sotto un unico vessillo un'ampia coalizione, anche a fronte di interessi sociali tra loro contrastanti, al netto di ciò che si pensa sia giusto o no… Nel contesto attuale, questa posizione può apparire ingenua… tuttavia concludo con una nota di speranza… Va detto in modo chiaro che l'evoluzione identitaria che imperversa da qualche decennio in molte parti del mondo deriva in gran parte dalla rinuncia a trasformare il sistema economico in senso egualitario e universalista, e ha portato all'inasprimento della competizione all'interno delle classi sociali… Per quanto pesanti possano sembrarci, nel clima attuale di isteria di destra e di ossessione identitaria, questi giorni bui termineranno. Affrettiamoci quindi a preparare il mondo che verrà”.

Per chi volesse avere una conferma della rilevanza, e perciò della obbligatorietà umana e professionale, di fare qualche passo verso/nella cultura e metodologia corretta dell'uso dei dati, sono da raccomandare i più recenti rapporti: della Caritas, sulla povertà in Italia, e di Oxfam (all'annuale simposio di Davos), sul vero e proprio tsunami di diseguaglianza che si è creato, e che peggiora, con la pandemia e la guerra. Ma non si vuole caricare troppo con bibliografie impegnative, facilmente ritrovabili in rete, questo invito leggero a una ‘cultura' delle metodologie quantitative.




BIBLIOGRAFIA


1. Tognoni G. Per una visibilità concreta dei soggetti della salute come diritto umano/bene comune. Assist Inferm Ric 2021;40:39-43.

2. Tognoni G. Che cosa è uno statistical genocide? Promemoria per una gestione infermieristica attiva del PNRR. Assist Inferm Ric 2022;41:139-42.

3. Richman BD, Schulman KA. Are patient satisfaction instruments harming both patients and physicians? JAMA 2022;328:2209-10.

4. Valerio C. La matematica è politica. Milano, Einaudi 2020.

5. Piketty T. Misurare il razzismo. Vincere la disinformazione. Milano, La Nave di Teseo 2022.