La salute mentale a Gaza


Angelo Stefanini

Università di Bologna

Per corrispondenza: Angelo Stefanini, angelo.stefanini@unibo.it


Mental health in Gaza. The article that follows – which is the gift of one of the most competent and responsible doctors in the field of international cooperation – is not only one of the very few reports on one of the most serious and least known aspects of the repression of the population of Gaza: it would like to be a cultural and methodological reminder of how great is the invisibility of the rights denied to all the populations that permanently live in a state of war in the world. The situation described here for such a fragile part of the Palestinian population is the most explicit and tragic case in which the chronicle of wars does not accept the blackmail of telling of winners and losers, of victims and destruction, but wants to play the role of restoring visibility, dignity, windows of future to concrete people, to their unmet needs, to the demand for profound attention, which is the main way to recognise and make violated rights possible again. The mental health of the paediatric and adolescent age is a very strong indicator (also for Italy – Save the Children's annual reports describe a worrying situation) of how much society and health care leave 'orphans' precisely those who have the most difficulty in resisting-overcoming the insecurity-fragility-non-autonomy created by all types of war: their request is first of all for an adoption that needs less doctors and medicine, and much more accompaniment made up of time, acceptance, and hope for the future. The most widespread war that affects society and health today is the one which excludes the right to personalised and lasting visibility-recognition. May Gaza become a permanent school of looking and listening.


Key words: Children, Palestine, Mental health, War.


L’articolo che segue – che è il regalo di uno dei medici più competenti e responsabili nel campo della cooperazione internazionale – non è solo uno dei pochissimi rapporti su uno degli aspetti più gravi e meno conosciuti della repressione della popolazione di Gaza. Vorrebbe essere il promemoria, culturale e metodologico, di quanto grande è la 'invisibilità' dei diritti negati a tutte le popolazioni che nel mondo vivono permanentemente in stato di guerra. La situazione qui descritta per una parte tanto fragile della popolazione palestinese è il più esplicito e tragico caso in cui la cronaca delle guerre (quella dell'Ucraina è solo l'ultimo esempio di una realtà che interessa, nelle più diverse forme, popoli di tutti i continenti) non accetta il ricatto di raccontare di vinti e vincitori, di vittime e distruzioni, ma vuole avere il ruolo di restituire visibilità, dignità, finestre di futuro alle persone concrete, ai loro bisogni inevasi, alla richiesta di una attenzione profonda, che è il primo modo di riconoscere e rendere di nuovo possibili i diritti violati. La salute mentale dell'età pediatrica e adolescenziale è un indicatore molto forte (anche per l'Italia, i rapporti annuali di Save the Children lo ripetono in dettaglio) di quanto la società e la sanità lasciano 'orfani' proprio coloro che più hanno difficoltà a resistere-superare la insicurezza-fragilità-non autonomia create da tutti i tipi di guerra: la loro richiesta è anzitutto quella di una 'adozione' che ha meno bisogno di medici e medicine, e molto più di un accompagnamento fatto di tempo, accoglienza, speranza di futuro. E sappiamo invece che la guerra più diffusa che interessa oggi la società e la sanità è quella che non prevede o esclude il diritto a relazioni non misurate in costi-prestazioni, ma a una visibilità-riconoscimento personalizzati e duraturi. Che Gaza divenga-rimanga scuola permanente di sguardo e di ascolto (NdR).

Questo articolo è già stato pubblicato da Angelo Stefanini su Salute Internazionale con il titolo La salute mentale a Gaza, 2 gennaio 2023 (https://www.saluteinternazionale.info/2023/01/la-salute-mentale-a-gaza/).


La crisi della salute mentale a Gaza ha radici politiche. La comunità internazionale dovrebbe chiedere urgentemente al governo di Israele di adottare misure immediate per revocare il blocco della Striscia di Gaza, oltre a porre fine all'occupazione, alla colonizzazione e all'apartheid in corso.

Sono un medico che ha lavorato per diversi anni sia come clinico/chirurgo che come medico di salute pubblica in Africa orientale e nel Territorio Palestinese Occupato (oPt), in particolare nella Striscia di Gaza dove ancora mi reco regolarmente come volontario con il PCRF (Palestine Children's Relief Fund). Non sono quindi uno psichiatra o uno psicologo; tuttavia, avendo vissuto in diversi contesti di guerra e violenza collettiva, carestia ed epidemie, ho esperienza diretta di persone che subiscono violenze e sofferenze.

La Striscia di Gaza, soprattutto negli ultimi 15 anni dall'inizio del blocco imposto da Israele nel 2007, è un chiaro esempio di popolazione sottoposta a due tipi di violenza: violenza diretta, attraverso bombardamenti e assalti militari, e violenza indiretta, dovuta a un assedio soffocante, impermeabile e implacabile che ha portato alla privazione economica, alla mancanza di libertà di movimento e alla mancanza di accesso a beni e servizi essenziali come cibo, elettricità, assistenza sanitaria, acqua potabile e diritti umani fondamentali.

Tutto ciò ha avuto un impatto devastante su salute, igiene e istruzione. Più di 2,1 milioni di abitanti di Gaza vivono in un territorio molto densamente popolato (>5000/km2).

Secondo il diritto internazionale, Israele è una potenza occupante. Sebbene nel 2005 abbia ritirato la sua popolazione di coloni dalla Striscia di Gaza, Israele continua a controllare l'ingresso e l'uscita da Gaza via terra, mare e aria. Allo stesso modo, controlla il registro della popolazione, le reti di telecomunicazioni e molti altri aspetti della vita quotidiana e delle infrastrutture di Gaza. Oltre ai danni fisici, l'assedio di Gaza ha prodotto una crisi di salute mentale soprattutto per bambini e giovani.

Tutti a Gaza, tutti, lottano con una tensione e un'ansia enormi. Secondo Medici senza Frontiere, il 40% dei giovani di Gaza soffre di disturbi dell'umore, il 60%-70% soffre di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e il 90% ha altri problemi legati allo stress. È stato anche segnalato un costante aumento dei tentativi di suicidio.

Più di 1 milione di bambini (il 47,3% della popolazione) è intrappolato in una realtà dolorosa e in un futuro sconosciuto, affrontando guerre che hanno peggiorato la realtà già esistente di un carcere a cielo aperto. Dopo le recenti guerre, molti bambini sono disperati, a causa della perdita di un arto, della vista, dell'udito, dei propri cari, degli amici o della pace mentale. Stanno iniziando una nuova vita lottando per adattarsi a nuovi bisogni speciali. Le strutture che devono integrarli sono per la maggior parte non disponibili. A meno che non ricevano un sostegno sufficiente, la loro salute mentale continuerà a peggiorare.

Il recente rapporto di Save the Children, intitolato “Trapped”, ha rilevato un enorme aumento di bambini che hanno riferito di sentirsi spaventati (84% rispetto al 50% nel 2018), nervosi (80% rispetto al 55%), tristi o depressi (77% rispetto al 62%) e in lutto (78% rispetto al 55%). Ha anche mostrato che più della metà dei bambini di Gaza ha pensato al suicidio e tre su cinque sono autolesionisti. Oltre 800.000 bambini a Gaza non hanno mai conosciuto la vita senza il blocco imposto da Israele. Un ragazzo palestinese che compirà 14 anni quest'anno avrà vissuto un periodo della storia di Gaza che ha visto la perdita di migliaia di vite, così come la distruzione fisica di quartieri e infrastrutture. Dopo aver vissuto cinque guerre, un quattordicenne è stato esposto a un livello di violenza così alto che probabilmente avrà effetti traumatizzanti e di lunga durata. Un nuovo rapporto di Euro-Med Human Rights Monitor ha rilevato che nove bambini su dieci soffrivano di qualche forma di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) correlato al conflitto. In realtà, a Gaza, il disturbo da stress post-traumatico è inesistente. Non è post-traumatico. È cronicamente traumatico. Il trauma è costante e implacabile. È ripetitivo e continuo.

Jason Lee, Country Director di Save the Children nei Territori Palestinesi Occupati, ha dichiarato: “I bambini con cui abbiamo parlato per questo rapporto hanno raccontato di vivere in uno stato perpetuo di paura, preoccupazione, tristezza e dolore, in attesa che scoppi il prossimo round di violenza e sentendosi incapaci di dormire o concentrarsi. L'evidenza fisica del loro disagio – enuresi notturna, perdita della capacità di parlare o di completare i compiti di base – è scioccante e dovrebbe servire da campanello d'allarme per la comunità internazionale”.

Invece, la comunità globale non sembra interessata alle condizioni invivibili nella Striscia di Gaza o al fatto che un'intera generazione sia cresciuta isolata dal mondo, tranne che per sperimentare le tecnologie avanzate delle armi che piovono su di loro dai cieli di Gaza.

La crisi della salute mentale a Gaza ha radici politiche. Il blocco della Striscia di Gaza è considerato dagli esperti delle Nazioni Unite dei diritti umani e dal Comitato internazionale della Croce Rossa contrario al diritto internazionale in quanto costituisce una “punizione collettiva” e impedisce ai civili di garantire i propri diritti fondamentali.

La punizione collettiva è espressamente vietata dal diritto internazionale umanitario dall'articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra. Israele, in quanto potenza occupante, è responsabile di garantire il benessere della popolazione civile palestinese e ha il dovere primario di provvedere ai bisogni primari. Secondo l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il blocco viola questi diritti, in particolare alla libertà di movimento e al godimento dei diritti a un adeguato tenore di vita, salute, istruzione, lavoro e vita familiare. 

“Come medico”, ha detto un collega palestinese, “di solito mi ritrovo incapace di consigliare anche i genitori traumatizzati che lottano con i loro figli. Non abbiamo una bacchetta magica per risolvere i loro problemi, sì, perché le origini di questi problemi sono politiche, ma c'è anche un'altra ragione. Anche noi (medici) siamo traumatizzati”.


Un approccio di salute pubblica e qualità della vita

per la politica di salute mentale negli oPt

Il discorso internazionale dominante sulla salute mentale tende a essere biomedico, in cui la salute mentale è vista come concettualmente equivalente alla cattiva salute fisica e, quindi, suscettibile di una linea di indagine scientifica e positivistica. Una questione centrale è la misura in cui un discorso guidato dall'Occidente può contribuire a una comprensione realistica della salute mentale e a un'adeguata pianificazione dei servizi nel territorio palestinese occupato, con la sua specificità di storia, culture e prevalenti condizioni socio-economiche e condizioni politiche. Negli ultimi anni, gli studiosi palestinesi stanno cercando di riformulare la salute mentale dei palestinesi come popolazione prigioniera e cronicamente traumatizzata utilizzando un approccio basato sul quadro più ampio dei diritti umani e della giustizia sociale, anziché concentrarsi solo sugli indicatori medici. Questo approccio richiede il passaggio da politiche di aiuto internazionali basate su determinanti ed esiti della salute mentale medica, a politiche che combinano un approccio di salute pubblica alla salute mentale con la difesa internazionale dei diritti umani e della giustizia. Tuttavia, attualmente, mentre il Ministero della Salute palestinese e l'OMS stanno cercando di sviluppare un sistema di salute mentale sostenibile negli oPt, le principali organizzazioni internazionali non governative continuano a concentrarsi principalmente su interventi terapeutici di stile occidentale considerati come una panacea universale per le esperienze traumatiche, a prescindere da contesto e geografia.

Questa modalità di trattamento presuppone che gli effetti patologici della guerra si trovino all'interno di una persona, e possano essere curati attraverso un trattamento individuale, come se l'individuo stesse guarendo da una malattia piuttosto che soffrire delle conseguenze a lungo protratte dell'ingiustizia politica. Tuttavia, resta il fatto che per molti palestinesi il counselling individuale è una pratica importata e culturalmente sconosciuta. Un'indagine sulle famiglie completata nella Striscia di Gaza subito dopo l'attacco israeliano del gennaio 2009 indica che solo l'1% degli intervistati ha ritenuto di voler parlare con professionisti dei propri problemi e preoccupazioni, con la maggioranza che preferisce invece parlare con la famiglia e gli amici (UNFPA e FAFO 2009).

Ridurre le esperienze palestinesi di violazioni dei diritti e ingiustizie alla prevalenza di sintomi e allo stato di malattia mentale ha l'effetto di indebolire ulteriormente la richiesta palestinese di giustizia.

I ricercatori palestinesi hanno dedicato l'ultimo decennio allo sviluppo di un approccio alternativo alla salute mentale, che non si basa esclusivamente sui sintomi medici, ma che collega anche la salute mentale agli indicatori del benessere sociale e della qualità della vita. Vi è un urgente bisogno di una concettualizzazione più informata dei modi in cui la sofferenza sociale correlata all'ingiustizia politica prolungata e al conflitto influiscono sulla salute mentale e somatica.

Un approccio alla salute pubblica, basato su un modello di qualità della vita, viene sempre più utilizzato per valutare i risultati sulla salute basandosi su ciò che gli individui riferiscono che sarà la qualità della propria vita. Questo approccio può favorire uno spostamento complementare dell'attenzione dalle diagnosi e dai sintomi individuali alla cattura delle dimensioni collettive sia della sofferenza che della resilienza. Il valore di un approccio alla qualità della vita risiede nella sua capacità di rivelare, descrivere e analizzare la qualità della vita quotidiana dei palestinesi comuni. Offre la possibilità di discernere gli equilibri tra sforzo e risorse e vede le persone come soggetti attivi nella valutazione della propria vita.

Una politica di salute mentale per i palestinesi deve affrontare diverse sfide. I disturbi mentali e la sofferenza sociale della guerra sono due sfide distinte, che devono essere affrontate entrambe. L'esperienza palestinese dimostra l'importanza di separare la risposta clinica a gravi malattie mentali dalla risposta dell'intera popolazione alla sofferenza di massa e alla violazione politica. Una risposta adeguata alla prima implica un miglioramento della diagnosi e del trattamento nel sistema sanitario, mentre la seconda richiede una risposta sociale e politica nel perseguimento della giustizia. Un problema chiave nello sviluppo di un sistema di salute mentale sostenibile negli oPt è la dipendenza da donatori di aiuti umanitari e internazionali che si concentrano ripetutamente sui soccorsi e le emergenze piuttosto che sullo sviluppo a lungo termine, compromettendo così la sostenibilità e l'autosufficienza futura. Gli aiuti internazionali dovrebbero affrontare la causa principale della sofferenza, la scarsa qualità della vita e il benessere, nonché la difesa della giustizia.

Per concludere: un tale cambiamento di prospettiva richiederà alle agenzie umanitarie di spostare le loro politiche di aiuto allo sviluppo dall'aiuto umanitario di emergenza a breve termine allo sviluppo a lungo termine. Allo stesso tempo, la comunità internazionale dovrebbe chiedere urgentemente al governo di Israele di adottare misure immediate per revocare il blocco della Striscia di Gaza nel quadro della risoluzione 1860 (2009) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite oltre a porre fine all'occupazione, alla colonizzazione e all'apartheid in corso (come denunciato da Amnesty International, Human Rights Watch e B'Tselem), e lavorare per creare le condizioni per rinnovare i colloqui tra le parti in conflitto verso una soluzione giusta.