All’ascolto di Gaza

A cura della Redazione

Summary. Listening in Gaza. As in every issue, the journal dedicates a space to the tragedy in Gaza, to give voice to an event for which political balances, news reports and statistics on the number of deaths are prioritized over the people and their lives. In this contribution, we wish, above all, to give voice to the cry of pain and plea for help from those who work to care for the others, and to those who are able to express their own suffering, anguish and bewilderment through poetry.

Key words. Gaza, health care professionals, poems, disregard for international rights.

Mentre si prepara questo testo come strumento minimo di partecipazione, resistenza, cura al popolo palestinese, di Gaza e Cisgiordania, le cronache dei telegiornali annunciano che i morti accertati nella sola giornata di ieri (16 maggio), per l’ennesimo bombardamento di routine dell’aviazione israeliana, superano il centinaio, con le ‘solite’ percentuali di bambini e donne al centro delle statistiche. Con la stessa regolarità, il silenzio dei governi su ciò che sta succedendo in aperta e provocatoria violazione del diritto internazionale conferma la incredibile, ma rigorosamente riaffermata, connivenza della comunità degli Stati in quanto accade.

Al di là delle voci ‘disarmate e disarmanti’ di Francesco e Leone XIV, tanto facilmente osannate, e ancor più facilmente negate (è sempre di ieri l’immagine annoiata e quasi irridente della nostra capo del governo che impone di non associarsi almeno con un alzarsi in piedi al riconoscimento di quanto accade), non ci sono più parole che permettano di dare nome a questo ‘spettacolo’ infinitamente rinnovato di in-umanità. I termini ormai inflazionati di sterminio, crudeltà, genocidio, pulizia etnica, sembrano appartenere più a programmi di irrilevanti rituali talk-show che alla restituzione almeno di visibilità e cura, immaginando che questa parola si faccia carico della tenerezza profonda da dare alla memoria di persone che con la loro sofferenza entrano per sempre, con la inviolabilità delle loro vite, e la nostalgia dei loro volti, sguardi, sogni, nella coscienza e nella solidarietà di resistenza di chi ancora crede a una umanità fatta di un futuro di relazioni che credono e creano pace…

I testi che seguono sono semi minimi tra la ricchezza-bellezza-dignità delle testimonianze e delle poesie che hanno accompagnato la resistenza palestinese, e di tutte/i coloro che hanno rischiato e sacrificato le loro professioni e vite per garantire tracce di umanità lungo i tanti anni (… 70 e più dalla prima nabka) che hanno fatto della storia di Gaza e della Palestina il simbolo universale della dignità umana contro l’in-umanità di chi non accetta che il futuro possa essere un bene comune e una casa per tutte/i, nessuna/o escluso.

Il primo racconto è di uno dei tanti operatori sanitari, non importa di quale paese, che hanno vissuto giorno per giorno il tempo senza tempo dell’ultima tappa del lungo genocidio.

Le poesie che seguono sono un invito ad adottare il più recente dei libri di poesie che devono diventare compagni di strada per tutte/i.

riceviamo da un medico di gaza. diamogli voce!

Evacuazione non è una parola, un post o un gesto di tenerezza.

La situazione è davvero un incubo umano che trascende ogni limite della sofferenza umana. A Gaza, sotto occupazione e assedio, gli ospedali – che dovrebbero essere oasi di sicurezza – si sono trasformati in arene di orrore quotidiano.

Immagina di essere un medico o un infermiere.

Hai due opzioni, entrambe dolorose: abbandonare i malati e i feriti al loro destino incerto, oppure rimanere con loro e affrontare il rischio di morte o arresto. Alcune équipe mediche scelgono di rimanere anche sotto i bombardamenti, perché il ‘dipartimento medico’ è indivisibile.

Come si trasporta un paziente attaccato a un respiratore o un bambino in un’incubatrice senza elettricità? Come si effettua un’evacuazione senza ambulanze, carburante e garanzie di sicurezza sufficienti?

Siete in ospedale, e tutto procede normalmente, quando improvvisamente ricevete l’ordine di evacuare l’ospedale entro mezz’ora...

Immaginate di eseguire un delicato intervento chirurgico su un paziente o un bambino, e all’improvviso sentite: ‘Evacuazione’.

Immaginate un paziente appena sveglio dall’anestesia, attaccato a un apparecchio per la rianimazione, e la sala è affollata di pazienti, e ricevete un ordine di evacuazione.

Immaginate un paziente attaccato a un apparecchio per la dialisi, la cui vita è a rischio, e sentite: ‘Evacuazione immediata’.

Immaginate un paziente attaccato a un apparecchio per l’ossigeno, che fatica a respirare, e improvvisamente dovete evacuare l’ospedale.

Immaginate un parto cesareo, o la fase critica di un parto naturale, e ricevete l’ordine:

‘Evacuare immediatamente l’ospedale’.

Immaginate tutte le sale operatorie occupate, tutti i medici e gli infermieri in allerta per salvare vite umane, e ricevete l’ordine di evacuazione in un momento critico.

Immagina di essere un paziente o un parente di un paziente:

• tuo figlio è sul tavolo operatorio e i chirurghi sono costretti a interrompere bruscamente l’operazione, o addirittura a chiudere d’urgenza la ferita, mentre i proiettili cadono sull’edificio;

tuo nonno disabile viene portato sulle spalle al buio, mentre si avvicina il rumore dei carri armati, e non sai dove andare in una città distrutta e senza rifugi.

La verità più dura

Questo non è uno ‘scenario ipotetico’, ma è accaduto e accade ripetutamente a Gaza.

L’occupazione prende deliberatamente di mira il sistema sanitario per raggiungere due obiettivi:

1. distruggere le infrastrutture di resilienza (comprese sanità e istruzione);

2. costringere i civili a fuggire sotto il peso della paura e della disperazione, cosa considerata un crimine di guerra dalla Convenzione di Ginevra.

La domanda non è “Cosa farai?”, ma “Quante volte un essere umano può sopportare questa sofferenza prima di crollare?” Eppure gli eroi di Gaza – medici, infermieri e operatori umanitari – continuano a opporsi a questa macchina brutale, nonostante la perdita di medicine, elettricità e, a volte, di speranza.

Questa non è una ‘crisi umanitaria’, ma un crimine sistematico commesso di fronte agli occhi del mondo. La storia si chiederà: dov’era la coscienza umana quando la stessa professione medica è stata messa a rischio?

Gaza ha il più alto numero di bambini amputati pro capite, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, e il sistema sanitario non ha potuto prendersi cura di loro. Al culmine della guerra genocida, le agenzie umanitarie e le organizzazioni mediche hanno affermato che più di 10 bambini perdevano uno o due arti ogni giorno a Gaza.

Molti venivano sottoposti all’operazione senza anestesia e molti di questi arti avrebbero potuto essere salvati se il sistema sanitario non fosse stato completamente decimato.

A settembre 2024, 22.500 persone a Gaza avevano riportato lesioni invalidanti dal 7 ottobre 2023, tra cui gravi lesioni agli arti, amputazioni, traumi al midollo spinale, lesioni traumatiche al cervello e ustioni gravi.

appello nella giornata dell’europa:
‘l’ultimo giorno di gaza’

Il 9 maggio è la Giornata dell’Europa, in cui si celebra tradizionalmente il suo processo di unificazione.

Ma dopo oltre 50.000 palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane, di cui almeno un terzo bambini, e un territorio quasi completamente distrutto dai bombardamenti, potrebbe essere anche il giorno di Gaza. L’ultimo.

Un appello promosso da Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Giuseppe Mazza, Tomaso Montanari, Francesco Pallante ed Evelina Santangelo chiede di parlare di Gaza, di farlo ovunque su siti, canali video, social, nelle strade e nelle piazze, sempre con gli hashtag #ultimogiornodigaza e #gazalastday.

Ecco il testo dell’appello:

“Senza il mondo Gaza muore. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani.

Per rompere il silenzio colpevole useremo la rete, che è il solo mezzo attraverso cui possiamo vedere Gaza, ascoltare Gaza, piangere Gaza.

Perché possano partecipare tutte e tutti, anche solo per pochi minuti. Anche chi è prigioniero della sua casa, e della sua condizione: come i palestinesi, i palestinesi di Gaza lo sono. Perché almeno stavolta nessuna autorità e nessun commentatore allineato possa inventarsi violenze che occultino la violenza: quella fatta a Gaza.

Sulla rete, e non solo. Per chi vuole mettere in rete ciò che succede nelle piazze e nelle comunità che si interrogano, assieme, su come fermare la strage.

Con la consapevolezza che noi siamo loro. E che a noi – italiani ed europei – verrà chiesto conto della loro morte. Perché a compiere la strage è un nostro alleato, Israele. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto, e la giustizia internazionale. E soprattutto guardarci negli occhi, e guardarci come la sola cosa che siamo. Umani.

Aggiungiamo tutte le parole che vorremo usare all’hashtag #ultimogiornodigaza #gazalastday.

Senza scomunicarne nessuna, senza renderne obbligatoria nessuna. Per chiamare le cose con il loro nome. Ora è il momento di costruire una rete di senza-potere determinati a prendere la parola. E il 9 maggio è la prima tappa di una strada assieme.

Perché la strage, perché il genocidio, abbiano fine. Ora.”

la poesia come atto di resistenza.
per un ascolto che non dimentichi

Continueremo a fare delle nostre vite poesie

fino a quando libertà non verrà declamata

sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi.

Restiamo umani.

Vittorio Arrigoni

Da dentro l’orrore senza fine di Gaza

La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza.

È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 e raccolte nel volume Il loro grido è la mia voce (142 pp., 12 euro), appena uscito per Fazi Editore.

Quest’assedio si prolungherà fino a quando

non avremo insegnato ai nemici

passi della nostra poesia antica

Mahmud Darwish, Stato d’assedio

Noi palestinesi ci risolleveremo, l’abbiamo sempre fatto,

anche se questa volta sarà più difficile.

Non so voi però, voi che siete rimasti a guardare

Mentre ci sterminavano.

Non so se potrete mai risollevarvi.

Munther Isaac, pastore luterano di Betlemme, Natale 2023

8/10/2023

La notte della città è buia, tranne che per il bagliore dei razzi,

silenziosa tranne che per il suono dei bombardamenti,

spaventosa tranne che per la serenità della preghiera,

nera tranne che per la luce dei martiri.

Buonanotte, Gaza.

Heba Abu Nada

9/10/2023

Non c’è tempo per grandi funerali e addii adeguati,

non c’è molto tempo: un razzo furioso sta arrivando,

ci accontenteremo di un bacio veloce sulla fronte

e un addio rapido, aspettando la nuova morte.

Non c’è tempo per l’addio.

Heba Abu Nada

15/10/2023

Noi lassù costruiamo una seconda città,

medici senza pazienti né sangue,

insegnanti senza aule gremite e urla degli studenti,

nuove famiglie senza dolore né tristezza,

e giornalisti che fotografano il paradiso,

e poeti che scrivono sull’amore eterno,

tutti da Gaza, tutti.

Nel paradiso c’è una nuova Gaza che si sta formando ora,

senza assedio.

Heba Abu Nada

18/10/2023

Le nostre foto di famiglia: un sacco di brandelli, un mucchio di cenere,

cinque sudari avvolti l’uno accanto all’altro di dimensioni differenti.

Le foto di famiglia a Gaza non sono come tutte le altre.

Ma erano insieme, e insieme se ne sono andati.

Heba Abu Nada

20/10/2023

Noi di Gaza, presso Dio, siamo martiri o testimoni della liberazione.

E tutti noi aspettiamo il luogo in cui saremo.

Tutti noi aspettiamo, o Dio, la tua promessa veritiera.

Heba Abu Nada

24/03/2024

E il dolore

non lascia un affamato

che raccoglie chicchi di riso

dalla terra.

Ricorda come ha raccolto i resti di suo figlio affamato in una borsa.

Haidar al-Ghazali

7/05/2024

Nel momento in cui

il bambino

metterà il pezzo finale del puzzle

per completare il quadro,

solo allora

capirà come era ridotto in brandelli

suo padre.

Haidar al-Ghazali

Una madre a Gaza non dorme…

Ascolta il buio, ne controlla i margini, filtra i suoni uno ad uno

per scegliere una storia che le si addica,

per cullare i suoi bambini

E dopo che tutti si sono addormentati,

si erge come uno scudo di fronte alla morte

Una madre a Gaza non piange

Raccoglie la paura, la rabbia e le preghiere nei suoi polmoni,

e attende che finisca il rombo degli aerei,

per liberare il respiro

Una madre a Gaza non è come tutte le madri

Fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi…

e nutre la patria con i suoi figli.

Ni’ma Hassan

Posso scrivere una poesia

con il sangue che sgorga,

con le lacrime, con la polvere nel mio petto,

con i denti della ruspa, con le membra smembrate,

con le macerie dell’edificio, con il sudore

della protezione civile,

con le urla delle donne e dei bambini,

con il suono delle ambulanze, con i resti di un albero che amo,

con tutti quei volti che cercano i loro dispersi,

con la voce del bambino Anas sotto le macerie che dice:

“Sono ancora vivo”,

Con i corpi senza lineamenti,

con l’attesa, l’attesa, e ancora l’attesa!

Posso scrivere una poesia con il fragore del tradimento,

con il silenzio nudo,

con la neutralità viscosa, con l’impotenza svelata,

con il servilismo verso l’America.

Cosa può una poesia?

Yousef Elqedra